Liberi i due italiani rapiti in Colombia
Liberi i due italiani rapiti in Colombia I tecnici stanno bene e si sono messi in contatto con i familiari, il riscatto pagato dalla ditta Liberi i due italiani rapiti in Colombia Dopo 255giorni di prigionia aMedellin, regno della droga ROMA. «Il miiat;olo è avvenuto domenica pomeriggio, quando è squillato il telefono. Era una voce lontana, subito non l'ho neppure riconosciuta. Poi ho capito, era Roberto, il mio Roberto. Mi ha detto che non lo hanno maltrattato, ma io lo voglio vedere in faccia, non sono tranquilla fino a quando non lo avrò abbracciato». E' la gioia di Cesarina Borsetti, 82 anni compiuti a Natale, mamma di Roberto Roascio, 42 anni, astigiano residente a Milano, area manager per il Sud America della società di costruzioni Torno. Libero dopo 255 giorni di prigionia sulle montagne di Medellin, capitale dell impero colombiano della droga. Con lui c'era Mario Accurso, trentasette anni, romano, direttore dei lavori al «Rio Grande fase tre». Sono stati rilasciati sabato; qualche ora prima era tornato in libertà anche un tecnico spagnolo, Francisco Puja, 4 ; dipendente della Cubiertas, consociata della ditta italiana. I tre erano stati sequestrati alle 18,30 del 26 aprile dell'anno scorso da un commando di sei uomini e due donne che avevano fatto irruzione nel cantiere di Girardot, a circa 30 chilometri da Medellin, dove la Torno sta costruendo le centrali idroelettriche di Niquia e Tasjera. In un primo tempo si pensa ad un'azione dei terroristi antigovernativi, ma dopo 24 ore di indagini l'ambasciatore Filippo Anfuso smentisce: «Sono delinquenti comuni, vogliono soldi». La notizia della liberazione è diventata ufficiale solo ieri mattina. Prima un breve comunicato della sede milanese della società: «I due tecnici stanno bene e hanno già avuto la possibilità di mettersi in contatto con le famiglie. Il rientro dalla Colombia avverrà appena espletate tutte le formalità con le autorità locali». Poco dopo il ministero degli Esteri ha espresso in una nota la sua «viva soddisfazione per la conclusione della vicenda» e il ringraziamento per l'opera dell'ambasciata a Bogotà. Niente di più. Nessuna spiegazione su come sono state condotte le trattative. Nel pomeriggio, tuttavia, la conferma di quanto era emerso già ad aprile. Roascio e Accurso erano ostaggi di delinquenti comuni. Aveva detto allora Giovanangelo Montecchi, responsabile dell'ufficio romano della Torno: «E' una storia senza rivendicazioni politiche o ideologiche. In questi casi, di solito, si arriva alla liberazione in due mesi e mezzo, tre mesi al massimo. Eravamo ottimisti, c'erano tutte le premesse per giungere ad una soluzione positiva, ma l'offensiva del governo contro i narcotrafficanti ha complicato tutto. I banditi sono be¬ ne nascosti, impossibile qualsiasi trasferimento di valori e persone. Non ci resta che aspettare». Così le trattative sono proseguite. I banditi chiedevano soldi, la Torno ha pagato. Ha detto ieri Montecchi: «Sì, l'azienda si è fatta carico del riscatto. Ma non posso rivelare la somma versata ai sequestratori. Posso soltanto confermare che Accurso e Roascio sono in perfetta salute psico-fisica e voglio ringraziare le loro famiglie: per otto mesi hanno atteso coraggiosamente ed in silenzio, fidandosi di noi, senza tentare iniziative o prese di posizione che avrebbero potuto pregiudicare le trattative. Un grande aiuto ci è venuto anche dalla Farnesina. Adesso aspettiamo Mario e Roberto in Italia, non so ancora quando arriveranno, credo che la polizia colombiana abbia bisogno della loro collaborazione», [d. c. ci.]
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