«Il mio corpo a corpo con Noriega» di Mimmo Candito

«Il mio corpo a corpo con Noriega» Il nunzio Laboa racconta come ha convinto l'ex dittatore a consegnarsi agli Usa «Il mio corpo a corpo con Noriega» «Abbracciavo il generale e controllavo se aveva la pistola» «Usuo vice ha detto: arrenditi o finiremo come Mussolini» CITTA' PI PANAMA DAL NOSTRO INVIATO «Gli americani avevano una fretta incredibile, premevano come disperati; erano tanto insistenti, e decisi, che a un certo punto ho perso la pazienza e ho detto: e va bene, se volete, entrate pure, accomodatevi; però poi ve la dovrete vedere voi con il resto del mondo». Ora che finalmente è terminata la guerra diplomatica tra la Casa Bianca e il Vaticano, monsignor Sebastian Laboa, nunzio di Panama, sorrìde serafico al ricordo di questi lunghi dodici giorni di assedio militare. E non c'è dubbio che si consideri un vincitore, anche se Noriega è in mani americane. «Fin dall'inizio non ho lavorato che per quella conclusione, perché alternative reali, poco alla volta, s'è visto che non ce n'erano». E sorride placidamente. Ma non deve aver vissuto sempre momenti tanto rilassati. «Sono stati giorni tesi, difficili. Quando ho ricevuto la telefonata, il pomeriggio del 24, vigilia di Natale, mi è stato detto con tono concitato: "Il generale vuole venire nella Nunziatura, lo accettate?". Io ho detto: "Sì, ma debbo parlare con la Santa Sede". Mi hanno ribattuto: "Non c'è tempo, la risposta deve venire in dieci minuti". Mi sono sentito con l'affanno al cuore, dovevo prendere una decisione che era mólto rischiosa, che poteva aprire un incidente diplomatico. Ho chiesto aiuto al Signore e ho capito che la cosa più importante era di evitare che si continuasse a combattere e che, se Noriega entrava nella Nunziatura, la battaglia finiva. E allora ho detto: Sì, che venga, e sarà come Dio vuole". Ho mandato un'auto a prenderlo, e lui è venuto. No, non era affannato, mi sembrava quello di sempre, col suo sguardo un po' vago, ma deciso, consapevole di sé, con quel tratto di astuzia che sempre lo accompagna. Aveva un cappelluccio da baseball in testa, e indossava pantaloni chiari e una camicia un po' spiegazzata. Ho visto che sull'auto aveva lasciato una coperta, e allora ho fatto cenno a un mio sacerdote; è andato a frugare, sotto c'era nascosto un mitra. «Le armi sono state un problema, qua dentro. A un certo punto, mi son trovato nella Nunziatura più di trenta persone rifugiate, era un piccolo esercito e non solo nel senso del numero. Allora ho chiesto che tutti consegnassero le armi. Ho detto: "Guardate che se qui succede qualcosa, gli americani entreranno con la forza, e nessuno si salverà". Hanno parlottato un poco tra di loro, e poi è apparso un piccolo arsenale, c'era di tutto, mancavano solo i cannoni. Quanto a Noriega, mi avevano detto che era solito portare una piccola pistola infilata nella cintura, dietro la schiena, e allora io ogni volta che lo incontravo lo abbracciavo stretto e lo palpavo dietro per vedere se la pistola c'era veramente. Un giorno, poi, è sceso nella sala da pranzo con il fodero di una radiolina, ma non pareva proprio che dentro ci fosse la radiolina. L'ho distratto per un momento accompagnandolo fuori, e un ragazzo che è rifugiato qui da tempo, un avversario di Noriega ma che viene dalla stessa provincia del generale, il Chiriquì, ha preso il fodero e ci ha trovato un coltello affilatissimo, e lo ha portato via. Quando il generale è rientrato e non ha più trovato la sua arma è rimasto sorpreso, e ho visto che ci rimuginava sopra. E in questa, e in altre occasioni, mi è sembrato che lui ricorresse a una qualche spiegazione magica: credeva che fosse opera dei diavoli e angeli della sua religione sincretistica. E noi, naturalmente, lo incoraggiavamo a credere a queste spiegazioni, perché ci aiutavano nel lavoro di convincimento psicologico che, fin dal primo giorno, ho esercitato su di lui. «Una nostra preoccupazione seria, poi, era quella di un possibile suicidio. Stavamo attenti a che non ci fossero barbiturici in giro, che tutto fosse sotto controllo, e il capitano Gaitàn, il capo delle sue guardie del corpo, ha avuto alla fine anche una chiave passepartout per poter entrare nella stanza del generale. «Sì, lo so, che di Gaitàn si dice che sia un agente del Mossad e un agente della Cia. Non mi riguarda. L'aiuto più deciso al mio lavoro di convincimento comunque me l'ha dato proprio il capitano, che è un uomo di cui Noriega aveva la massima fiducia. Il generale ha ceduto definitivamente negli ultimi due giorni, in due lunghi colloqui che io, mons. Berloco, Gaitàn e il colonnello Madrinan abbiamo avuto qui, in questa stessa sala. Gaitàn a un certo punto ha detto a Noriega: "Generale, io sono anche pronto a morire con lei. Ma guardi che qui rischiamo di fare la fine di'Mussolini, ci appenderanno per i piedi, perché gli americani non spareranno certamente un colpo per fermare la gente che un giorno verrà all'assalto della Nunziatura". E alla fine lui si è convinto, e me l'ha detto. «La parte più grossa del mio lavoro è stata quella di sottrarre Noriega dall'influenza del suo entourage, quella trentina di persone che stavano qui rifugiate; avevo anche pensato di allargare l'area sotto immunità diplomatica e di spostare queste persone altrove. Ma alla fine non è stato necessario. Quanto agli americani, avevano una fretta impossibile e ho dovuto fargli capire che ci voleva tempo. Per me, aver risolto questa faccenda in soli dieci giorni è stato, in realtà, un vero miracolo diplomatico. «E di trattative e di concessioni non si è mai parlato. Una volta che è stato chiarito che il generale non poteva andare in un terzo Paese, bisognava lavorare solo per tranquillizzarlo e fargli accettare le garanzie che gli americani si dicevano pronti a dargli, compresa quella di non condannarlo a morte. D'altronde lui conosce le prigioni panamene, mentre io gli dicevo che quelle americane hanno la tv e l'aria condizionata. «No, non so se il capitano Gaitàn abbia lavorato nell'interesse di altri. Il suo aiuto però è servito a trovare la soluzione e Noriega è ora nelle mani americane. Prima di consegnarsi, ho concesso al generale di fare alcune telefonate. Quanto a Gaitàn, è possibile che abbia un salvacondotto verso la Spagna. E! un uomo che sa quello che vuole». Mimmo Candito Il Nunzio apostolico a Panama José Sebastian Laboa

Luoghi citati: Citta', Panama, Spagna