Il vescovo abbandona Orlando? di Francesco La Licata

Il vescovo abbandona Orlando? Palermo, il sindaco de «sgridato» da Pappalardo durante la Messa di Capodanno Il vescovo abbandona Orlando? Fra cardinale e primo cittadino si è rotta una lunga amicizia «Finiamola con la retorica, più che i discorsi servono i fatti» PALERMO DAL NOSTRO INVIATO L'abbraccio, alla fine, fu caloroso, come si conviene a due vecchi amici. Da una parte il cardinale, il grande fustigatore dei vizi palermitani; dall'altra il sindaco Orlando, la faccia pulita, il rinnovatore. Ma anche l'utopista, l'inconcludente, come dicono i suoi denigratori. L'abbraccio di Capodanno, dopo la consueta Messa celebrata in Comune, assumeva un significato particolare. Serviva a stemperare il gelo provocato dalle parole di Pappalardo. Che aveva detto di così grave Sua Eminenza? Perché tutti si guardavano stupiti ad ogni passaggio del discorso che suonavano come bacchettate sulle dita del sindaco? Sì, anche se i toni erano pacati, come si addice alle liturgie, una vecchia amicizia forse veniva messa in discussione. Ritornavano argomenti usati fino a quel momento da quanti davano addosso alla giunta anomala. «Certo la nostra città e i suoi organismi amministrativi non sono sede in cui si debba svolgere non so quale politica internazionale o nazionale, ma quella intesa in senso propriamente etimologico: che si interessa, cioè, del retto governo della città». Fin troppo facile leggere, in queste parole, un appunto alle aspirazioni di Orlando per i grandi temi. E rintracciare le tesi di quanti rimproverano al sindaco di avere poca attenzione per i bisogni della gente, di preferire i dibattiti su argomenti lontani alla soluzione di problemi gravi come la siccità, i poveri, i quartieri emarginati. «Giova anche sottolineai e — incalzava Pappalardo — che ai fini di una credibilità non può bastare un discorso retorico sul servizio all'uomo, ma occorre un effettivo e provato atteggiamento di servizio a favore del cittadino più umile; non un elaborato discorso sull'amministrazione, ma una efficiente amministrazione; non solo complessi progetti in ordine ad inveterati problemi, ma la reale, seppur graduale, soluzione di questi». Quanto lontani i discorsi di qualche anno prima, quando Orlando, voluto da De Mita, riceveva la «delega» per rifondare moralmente la politica della città. Era settembre del 1985, Pappalardo benediceva il neosindaco, eletto non senza traumi e con una de spaccata. Cosa è cambiato adesso? Il sindaco non vede nelle parole di Pappalardo un rimprovero alla giunta. «Le spinte al cambiamento — dice — sono molto più diversificate di qualche anno fa. Allora la figura del cardinale funzionava come unico centro motore, oggi di motori ce n'è più d'uno». E forse, in questa risposta diplomatica, trova spazio la scuola di Padre Sorge. Sua eminenza tace, anche di fronte alle proteste di Simona Mafai, consigliere comunista, partito alleato di Orlando. La Mafai ha scritto al sindaco: «Sono indignata dal discorso di Pappalardo». La sua protesta fa riferimento anche alle considerazioni del cardinale sul crollo del marxismo e, in conclusione, l'ex senatrice chiede di sopprimere il rito della Messa di Capodanno in Comune. E allora? Pappalardo abbandona Orlando? Non c'è la prova, anche se i due non sembrano affiatati come un tempo. Ma forse la verità è che la loro è stata sempre un'amicizia avversata. Principalmente da alcuni settori della curia che, un po' per vecchi legami mai recisi, un po' per interessi di natura economica — le proprietà immobiliari nel centro storico — non hanno mai cambiato referenti politici, in una città dove uomini dei partiti e della Chiesa si sono sempre sostenuti a vicenda. Cosa rimproverano, questi, al sindaco? L'emarginazione dagli affari pubblici del conte Cassine, luogotenente dell'Ordine del Santo Sepolcro: la sua famiglia è sempre stata in confidenza con prelati, istituti religiosi e con l'apparato curiale. E Orlando lo ha tagliato fuori, togliendogli l'appalto della manutenzione stradale. Non a caso gli scontri più ricorrenti, più aspri, Orlando li ha avuti con monsignor Giuseppe Carcione, ex responsabile amministrativo della curia, e con monsignor Giuseppe Peco- raro che ne ha preso il posto. Sullo sfondo, il progetto miliardario per la realizzazione di un complesso edilizio in via Maqueda, nel cuore della vecchi:) Palermo. Nemmeno Orlando, dopo tanti anni, è riuscito a far decollare l'investimento sul quale la curia punta molto. Ciò gli è stato spesso contestato. Tutti ricordano lo scontro, all'Hotel Palace di Mondello, presente il cardinale, fra Orlando e Pecoraro. All'accusa di questi («Altro che rinnovamento, questa giunta fa acqua da tutte le parti»), il sindaco replica: «Caro monsignore, l'unica cosa che abbiamo in comune noi due è lo stesso Dio. La mia concezione della vita non coincide con la sua. E' lei, non io, ad andare a cena con quegli imprenditori affaristi che hanno costruito le scuole che ora vanno a pezzi. E' lei che ha installato le scuole private della curia nei quartieri dove le passate giunte non hanno voluto costruire quelle pubbliche». Con Carcione non va meglio. Al prelato che commentava caustico «è meglio che faccia il professore, il sindaco non sa farlo», Orlando ha risposto per iscritto ricordandogli le regole del buon cattolico. Questo accadeva soltanto ieri. Cosa avverrà ora che si apre la guerra delle liste? Nella de, ad ogni vigilia elettorale, le amicizie e gli odi degli uomini della Chiesa hanno sempre avuto un grande peso. E le prossime amministrative hanno già il sapore di una resa dei conti. Francesco La Licata Leoluca Orlando Salvatore Pappalardo

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