Dopo l'arresto

Dopo l'arresto Dopo l'arresto L'ex dittatore in lacrime «Che errore arrendermi!» WASHINGTON DAI. NOSTRO CORRISPONDENTE Il crollo è improvviso. «Ho sbagliato, ho sbagliato, non dovevo uscire dalla nunziatura!»: Noriega si prende il volto tra le mani e scoppia in lacrime. E' in tuta di volo, ha le manette ai polsi, le catene ai piedi e attorno alla vita che lo assicurano alla parete dell'aereo. Gli agenti della Dea, l'antinarcotici, si sentono imbarazzati. Sono in maggioranza di origine cubana, alcuni hanno lavorato a Panama per anni. Di colpo, l'ex dittatore non fa più paura, fa pena. «Mi general — lo esorta uno in spagnolo — coraggio». Noriega si asciuga gli occhi, indica il Vangelo che si è portato dietro insieme con tre rosari, un regalo del nunzio pontificio monsignor Laboa. «Leggetemene un poco» dice di nuovo imperioso. Gli agenti della Dea eseguono. E' uno dei momenti più bizzarri del lungo volo verso gli Usa, la notte di mercoledì scorso. Il viaggio di Noriega è stato raccontato al «Washington Times» da uno dei presenti, che ha chiesto di restare anonimo. Il generale sale a bordo in divisa, ammanettato, tra i poliziotti e i militari americani armati, mentre «girano» le telecamere del Pentagono. Bush ha deciso di consegnare le immagini dell'umiliazione del nemico ai posteri: Noriega non è un capo di Stato, ma un comune 'criminale, ed è accolto come tale. Un agente della Dea recita in spagnolo all'ex dittatore, disorientato e livido in volto, i diritti riconosciuti dalla legge americana. Il gigantesco CI30 decolla subito. Due ufficiali medici spogliano Noriega, gli misurano subito la pressione, gli ascoltano il cuore. «Per vostra sfortuna, sono sano come un pesce», dichiara secco il generale. Gli agenti della Dea lo mettono a sedere guardato a vista. Noriega ne riconosce uno: «Avrei giurato che ci sareste stato anche voi», gli dice. Poi la crisi di pianto: «Che cosa ho fatto, che cosa ho fatto!». Sono quasi sei ore di volo, Noriega cambia umore in fretta. A un certo punto chiede ai poliziotti dove sono nati. «Ah, Cujh». dice. «E' un bel Paese, ammiro Castro». L'ex dittatore discute delle «notevoli riforme introdotte di recente da Fidel». E' un modo indiretto di criticare gli Stati Uniti, e gli agenti della Dea non gli danno corda. «Mi general — gli chiede invece uno — mi fa un autografo?». «Come no — ribatte Noriega — possiamo anche scattare qualche fotografia insieme». Gli vengono tolte le manette e la catena alla vita, ma non quelle ai piedi, i flash scattano, per qualche minuto sorridono tutti, l'ex dittatore è a suo agio, fa dediche scherzose, sembra un divo, propone di mandare una foto anche a Bush. Arriva l'equipaggio, il generale mette la data e la firma sui registri di bordo, c'è uno scambio di battute, gli permettono di visitare la cabina di pilotaggio. Più tardi, gli servono un caffè e un panino. A mezzanotte si spengono le luci, ma Noriega non dorme: rivive la sua uscita dalla nunziatura. Il generale ha lasciato con riluttanza la protezione del Vaticano alle 20,50, dopo aver ascoltato una messa speciale. Ha telefonato alla moglie e alle tre figlie, tutte rifugiate nell'ambasciata cubana, e all'amante Vicky Amado. Ha anche scritto un biglietto di ringraziamento al nunzio, monsignor Laboa: «Le sono molto grato dell'ospitalità — dice — e della luce che mi ha portato». Si è congedato prima col saluto militare poi con un silenzioso abbraccio dai suoi ultimi ufficiali. Nelle tenebre, ha inciampato due volte attraversando il giardino, e padre Villanueva, che lo seguiva, lo ha sorretto. Fuori della nunziatura lo ha ricevuto il generale Cisneros, dell'alto comando Usa. «Pregherò per voi ogni giorno», gli ha gridato alle spalle don Villanueva. «Grazie», ha risposto l'ex dittatore, mentre alcuni marines gli stringevano ai polsi le manette. Di corsa, i marines lo hanno fatto salire su un elicottero in attesa, e trasferito sul CI30 all'aeroporto Howard. Poco prima di sbarcare alla base di Homestead presso Miami un agente della Dea scuote Noriega dai suoi pensieri, gli restituisce la divisa e gli leva le catene dai piedi. Quasi di peso, lo mettono su un'auto della polizia in attesa sulla pista al centro di un corteo interminabile. Antonio Manuel Noriega, l'uomo un tempo più potente del Centroamerica, finisce al tribunale federale di Miami, in una cella segreta sotterranea. Giovedì pomeriggio, quando compare davanti al magistrato per l'incriminazione per traffico di droga, sul palazzo volteggia un aereo monoposto con uno striscione che irride all'ex dittatore, «By by Tony». A Città di Panama, le immagini di Noriega in aereo appaiono in tv tra la sorpresa generale, e monsignor Laboa freme: protesta che gli americani gli avevano promesso di non mostrare il prigioniero ai media, condanna le catene e le manette, la foto segnalatica che comparirà poi su tutti i giornali. Ennio Ca retto

Luoghi citati: Centroamerica, Miami, Panama, Stati Uniti, Usa, Washington