PERCHE' SCATTA LO SDEGNO

PERCHE' SCATTA LO SDEGNO [DELITTI IMPUNITI PERCHE' SCATTA LO SDEGNO POICHÉ' l'onorevole Forlani è noto come persona prudente e meditativa, è augurabile che non si lasci distrarre dal coro unanime contro le sue dichiarazioni a favore della pena di morte, né sopraffare dalle interpretazioni autentiche che gli sono piovute addosso dall'interno del suo partito, secondo le quali il suo sarebbe soltanto uno «scatto di sdegno». C'è da sperare invece che tanto Forlani quanto i suoi critici meditino sulla natura eminentemente politica e non emozionale delle cause che provocano del tutto legittimamente simili scatti. La somma di queste cause si riassume nel fatto che in Italia i peggiori criminali escono di galera con più facilità di quanta alle forze dell'ordine occorra per metterceli. Senza andare troppo indietro, rifacciamoci alla cronaca recente. La signora Gigliola Guerinoni ha ammazzato a martellate il proprio amante, è stata catturata, regolarmente processata, condannata. Ma poiché in carcere soffriva molto (altra spiegazione non è dato trovare), è stata rimessa in libertà. Può muoversi, telefonare, guardare la televisione, farsi intervistare, riacquistare il suo look. Il signor Giuseppe Strangio (apparentemente uno della banda che ha rapito Cesare Casella) era stato anche lui catturato, processato e condannato, ma poiché in carcere prometteva di diventare un bravo ragazzo (anche qui migliore spiegazione non c'è), aveva avuto un permesso premio di sette giorni. Ha potuto così darsi alla latitanza e organizzare nuovi crìmini. Seguendo lo stesso esempio, nei primi nove mesi del 1989, secondo dati forniti dal ministro dell'Interno Gava, più di 700 detenuti, tra cui certamente boss mafiosi e mozzatori di orecchie, hanno pensato di trasformare in definitivo un permesso provvisorio di libera uscita. Di fronte a fatti come questi, tanto ripetuti da essere sistematici, lo sdegno è la più comprensibile e salutare delle reazioni. Ma può questo sdegno arrivare fino al punto di invocare la pena di morte per i reati più gravi? Chi lo nega e si oppone usando l'argomento che essa non sarebbe un deterrente contro il crimine, si mette su un terreno sdrucciolevole e tutto in discesa. Perché, se è intuitivo pensare che la pena capitale non costituisce un freno contro un delitto passionale, è tutto da provare che essa non lo sarebbe quando si decida di mettere in piedi una «industria del crimine» come quella dei sequestri, dato che non c'è industria che non faccia un preventivo costi-benefici. Meglio allora chiudere la questione attenendosi al dettato costituzionale. Ma chi, contro la pena capitale, invoca il quarto comma dell'articolo 27 della Costituzione non può dimenticare che esso è scritto per evitare «trattamenti contrari al senso di umanità», non per evitare trattamenti penali seri, rigorosi e rispettati. Invece questo è ciò che accade. Mentre la Costituzione fìssa una deterrenza contro il crimine nella giusta pena, le leggi attuali e il modo in cui sono applicate riducono di fatto tale deterrenza; fra crimine commesso e pena inflitta non c'è più rapporto giuridico certo (perché scontare una pena è diventata questione soggettiva) né relazione morale appropriata (perché anche il condannato ai più efferati delitti viene rimesso Marcello Pera CONTINUA A PAGINA 2 PRIMA COLONNA

Persone citate: Cesare Casella, Forlani, Gava, Gigliola Guerinoni, Giuseppe Strangio, Marcello Pera

Luoghi citati: Italia