Le barricate? Sì, ma al bar di Giovanni Cerruti

Le barricate? Sì, ma al bar Le barricate? Sì, ma al bar Cronaca di 20 minuti di lotta dopo 34 anni MILANO. La voce dall'altoparlante, ben attenta a non pronunciare l'innominabile parola: sciopero, aveva appena interrotto le contrattazioni. Mezzogiorno esatto, come da programma. E invece no, si contratta ancora, mani alzate e dita che disegnano quelle strane figure che fanno tanto effetto in tv. Tutti crumiri o quasi. Telefoni in funzione. E Antonio Pirella, ora questore della Borsa, ma questore vero nella Milano degli Anni 70, guarda questo sciopero dei signori della lira e gli vien da sorridere. Da due minuti, per questo improbabile '68 degli agenti di cambio, dovrebbe essere sceso il silenzio. Fuori, in Piazza Affari, cronisti e fotografi e tv. In attesa, peraltro vana, di un qualcosa, un cartello, una protesta da vedere e sentire, anche un solo comunicato. Niente di simile. Il centinaio di agenti di cambio presenti punta sì alla porta d'uscita, ma più che un corteo pare la scolaresca alla campanella della ricreazione. «Orco che fred¬ do, io non esco», dice l'agente con il cartellino «Sai» attaccato al taschino. E blocca gli altri in coda. «Dai che andiamo al bar, manca un quarto d'ora», lo spingono quello con il cartellino «Mur» e quella con il cartellino «Cob». Lo sciopero così si trasferisce al «Bar Borsa». O, per chi preferisce anticipare il panino, al «Burghy» di piazza Cordusio. Ma i più restano nel prefabbricato: molti a scambiarsi auguri di buon 1990, pochi al telefono, pochissimi attratti dal codazzo di cronisti qui venuti per l'evento di inizio d'anno. Tanto fuori fa proprio freddo, temperatura meno uno come l'andamento delle contrattazioni in quel momento. C'è chi fuma una sigaretta di nascosto, nell'angolo del tabellone con le quotazioni delle valute. E tutti intanto guardano l'orologio. Siamo a metà del tempo di astensione, ancora dieci minuti e poi si riprende. Ma ecco arrivare, serio, elegante, alto e secco, Attilio Ventura presidente degli agenti di cambio milanesi. Ha appena concesso un'intervista al TG1, una al TG2 e una al TG3. «Allora presidente — fa uno — questo primo sciopero...». Non l'avesse mai detto. «Chiariamo subito che questo non è uno sciopero e nemmeno un'agitazione». Freddo anche qua dentro. E che è? «E' un momento di riflessione. Auspico...», risponde in buon politichese. E via con la litania di parole così sintetizzabili: è il primo giorno di un anno, oltre che di un decennio, che ci porterà al Duemila attraverso il '92... Insomma, uno sciopero che non è uno sciopero, ma è un momento di riflessione (al bar, a quanto si è visto) perché gli agenti di cambio vogliono leggi e regolamenti al passo con i tempi dell'Europa. Non uno sciopero vero, come nel '56 per protestare contro la legge Tremelloni sulla denuncia dei redditi degli agenti di cambio. E neppure come quello del '75, ai tempi delle spericolate evoluzioni di Michele Sindona, per far decollare la riforma della Consob. Uno sciopericchio, per citare un decano dei giornalisti di Borsa, che corrisponde alla definizione ideata da Beppe Grillo per Jovanotti: «una scorreggina». Sciopericchio dunque, e neppure condiviso da tutti. Se il procuratore Biagio Bailo si lamenta («di noi non si occupa mai nessuno, lavoriamo anche a Capodanno...»), Giampaolo Gamba protesta contro chi protesta: «Questa cosa non si doveva fare. Ci si astiene dal lavoro solo per le vacanze! Cinque anni fa bisognava protestare, non è così che si raggiungono gli obiettivi. Ci danneggiamo da soli e basta». Meno male che risuona la campana. Fine dei venti minuti di ricreazione, fine dello sciopero, dell'agitazione, della cosa o della riflessione. In ogni caso è stata la prima volta: forse è successo qualcosa e forse non è successo niente. Anche l'indice Mib non si è sbilanciato: chiusura senza variazioni. Giovanni Cerruti

Persone citate: Antonio Pirella, Attilio Ventura, Beppe Grillo, Biagio Bailo, Giampaolo Gamba, Michele Sindona

Luoghi citati: Capodanno, Europa, Milano