Da giovane bene a duro professionista

Da giovane bene a duro professionista Da giovane bene a duro professionista Una carriera tormentata con la macchia del «totonero» Il dramma di Manfredonia ci ha posti tutti davanti al personaggio con il quale il calcio italiano ha un debito e un credito. Il debito consiste nel non avere mai riconosciuto al giocatore il suo valore enorme con i simboli più giusti e chiari, cioè l'impiego fisso in Nazionale e il vasto consenso popolare. Il credito consiste nell'avere accettato, del personaggio, anche le spigolosità in campo, considerandole parte integrante e meliminabile del suo bagaglio professionale. Lionello Manfredonia in sostanza ha avuto dal calcio due vite, una difficile e una facile. Facendo tutte le somme rimane, comunque, un suo attivo: perché è più quello che lui ha dato al calcio di quello che dal calcio ha avuto. C'è però la questione del Totonero, della sua squalifica per due anni e mezzo. E allora l'attivo finisce, e Manfredonia si trova in pari con il mondo del pallone: proprio il rapporto che lui, professionista al cento per cento, ha costantemente cercato. Mai dover ringraziare, o dover essere ringraziato. Il grande calciatore in un certo senso ha avuto quasi sempre il teatro sbagliato, mai quello giusto della Nazionale o di uno squadrone che giocasse per lui, dandogli la piena leadership, e che non gli chiedesse invece un lavoro sordo, se necessario sporco, per tenere in piedi la baracca o anche il palazzo. Ragazzino prodigio, in A fisso a diciannove anni, doveva passare alla Juventus, è rimasto invece alla Lazio, spartendone anche i destini tristi. Alla Juventus è approdato dieci anni dopo l'esordio in A, ha giocato subito alla grande, anche se non fra tutti gli applausi che meritava, ma poi se n'è tornato a Roma, alla Roma, perché a Torino non erano state accettate le sue richieste per un lungo contratto. E a Roma grande combattimento con la tifoseria giallorossa, che gli rinfacciava i passati laziali ma anche la stona delle scommesse calcistiche, un reato evidentemente non pagato con i due anni e mezzo di squalifica. E adesso che aveva vinto, il doppio stop al cuore che ha messo in pericolo la sua vita e pregiudica, in modo probabilmente irreversibile, la sua carriera di agonista. Grande centromediano e poi grande centrocampista, Manfredonia ha avuto il «torto» di essere nato in una famiglia romana borghese, pariolina si disse ' subito, di aver studiato, liceo classico e università, sino alla laurea in Legge, lui figlio di un avvocato, di parlare un ottimo italiano, di dire le cose con franchezza. Nello scandalo del Totonero, la sola piena ammissione di colpa è stata la sua. Professionale anche in questo, dopo la goliardata dell'errore. In campo ha messo sempre tutto se stesso, giocando un calcio anche duro, apertamente duro. Più che alcune partite splendide, è giusto ricordare la sua continuità. La Nazionale gli concesse quattro gare: portato in Argentina da Bearzot per il campionato mondiale 1978, Manfredonia entrò in tackle verbale con il et e rimase sempre in tribuna: ma la frattura era già avvenuta prima, al tempo del raduno in Italia, probabilmente su questioni formali. Da allora, fra calcioscandalo e emersione di nuovi talenti o presunti tali, per Manfredonia non ci sono più state convocazioni. Un destino abbastanza simile a quello di Giordano, cresciuto con lui nella Lazio, per tanti anni suo amico nella vita, suo compagno di squalifica nel Totonero. E vicino a lui, sia pure con la maglia della squadra avversaria, quando il cuore di Lionello si è fermato, sul campo di Bologna. Sarà molto difficile, con il vetrinismo nevrastenico che imperversa, trovare un altro calciatore come lui, di valore così alto, di professionalità così spinta, e intanto di così profon¬ do senso del combattimento, della partita come una battaglia. Manfredonia ha raccolto fischi e insulti su tanti campi, per il suo modo di giocare spregiudicato, quasi cinico. Ma ha sempre pagato di persona, non ha mai cercato azioni sotterranee, ha vissuto il calcio come una battaglia. Ci vogliono anche quelli come lui. Un'idea è che Lionello Manfredonia abbia anticipato il calciatore del Duemila, il professionista spinto, totale, la spalla ideale per il divo tutto invenzioni. Altro che Michailitchenko, il biondo sovietico inseguito dalla Juve. L'esperimento sulla sua pelle, con le sbandate canoniche. Gli applausi, più che conquistati, guadagnati. Le colpe tutte pagate, i meriti riconosciuti materialmente. Un lavoro, con la cultura o almeno l'istruzione per mettere insieme, intanto, altra vita, tutta diversa da quella del campo. Gian Paolo Orme zzano

Persone citate: Bearzot, Gian Paolo Orme, Lionello Manfredonia