Arrogante New York io ti farò pensare di Masolino D'amico
Arrogante New York io ti farò pensare Le novità offerte dai teatri di Broadway Arrogante New York io ti farò pensare Molto ammirata l'opera diJohn Guare che ridicolizza la ricca società americana NEW YORK. Come ormai tutti sanno, varie ragioni, ma le principali sono legate agli alti costi, hanno reso la proposta di novità praticamente impossibile nei teatri commerciali di Broadway, ed estremamente ardua in quelli cosiddetti off, loro tradizionale alternativa nonché fonte di rifornimento. Così in una stagione dominata dai musical rodati in Inghilterra e da altri allestimenti ugualmente d'importazione, le sole due commedie di successo che descrivano usi locali e contemporanei bisogna cercarle in sale particolari, gestite con un occhio al servizio pubblico più che al profitto, e parzialmente finanziate con denaro di mecenati: rispettivamente, al Lincoln Center e al Manhattan Theatre Club sulla 55a. Sto parlando di «Six Degrees of Separation» di John Guare e di «Lips Together, Teeth Apart» di Terrence McNally, autori entrambi già molto affermati anche se ancora non noti all'estero. Dei loro lavori il primo si replica da più di un anno, anche se il cast non dà segni di essersi adagiato nella routine. Ammiratissimo dagli intellettuali, esso respira l'aria del mondo tanto memorabilmente esplorato da Tom Wolfe nel romanzo «Il falò delle vanità», ossia quello degli occupanti di fastosi appartamenti nella parte giusta di Park Avenue e della Quinta Strada, ricchi e invidiabili dal di fuori, in realtà rosi dal terrore di non farcela: yuppies in Tom Wolfe, mercanti di quadri in John Guare. Il quale, in una serie di rapidi flashes, quasi di fumetti, racconta l'impresa esemplare di un giovanotto negro che una sera piomba dalla coppia principale impegnata nel tentativo di sedurre un milionario sudafricano, dichiarando di essere stato aggredito nel parco. Costui ottiene attenzione e ospitalità prima spacciandosi per compagno di studi dei figli assenti della coppia, poi mostrandosi articolato e affascinante. Ben presto però combina dei guai e viene scacciato; si scopre che in realtà è un impostore, un omosessuale plebeo che si è inventato un accento e un passato distinti. Egli ha truffato nello stesso modo altre famiglie, ma come in «Teorema» di Pasolini, il suo passaggio è anche stato un piccolo catalizzatore, rivelando ai suoi anfitrioni qualcosa che ignoravano su se stessi. Molto spiritosa, farcita di allusioni a mode culturali del momento, la commedia si giova di una regia Michelle Pfeiffe elettrica di Jerry Zack, il quale impone alla serie di episodi un ritmo da girandola (90' senza intervallo, e volano in un lampo), coordinando l'andirivieni di ben venti personaggi - ci sono parti per diciassette attori - in una scenografia sintetica: il palcoscenico, che qui è a pianta semicentrale, col pubblico su tre lati, è rivestito di una moquette rossa, con l'unico elemento di un grande quadro doublé face di Kandinski appeso in alto e lentamente roteante all'inizio e alla fine della serata. Le luci, le solite magnifiche luci dei teatri Usa, fanno il resto, isolando, evidenziando, fondendo le singole unità di azione con una scorrevolezza impareggiabile. Meno à la page i protagonisti di «Lips Together», due coppie quarantenni e borghesi che trascorrono la festa nazionale del quattro luglio in una casa sulla spiaggia a Fire Island: e scenografia iperrealistica, con piscina praticabile e doccia funzionante, uno ci si fa anche lo shampoo. Durante i tre atti a tempo reale emergono tensioni, insofferenze e reazioni fra i quattro, due dei quali sono fratello e sorella. Gli altri due hanno avuto una breve relazione che ora lui vorrebbe riattivare; ma la piccola grande rivelazione della serata è che John, il più brillante e seducente dei maschi, per questo invidiato dall'altro che si sente goffo (e che a un certo momento lo prende addirittura a pugni), si è appena sentito diagnosticare un cancro, e sta quindi riesaminando tutta la sua esistenza. Questa notizia appresa quasi casualmente, quasi contemporaneamente allo scoppio dei fuochi d'artificio del finale, riawicina i quattro in una tregua che non sappiamo quanto durerà. Il minimalismo qui adottato da un autore che in passato è stato più aggressivo (in «The Lisbon Traviata», per esempio, ma anche in «Frankie and Johnny in the Clair de Lune», or ora filmato con Al Pacino e Michelle Pfeiffer) è ravvivato dalle numerose battute di asciutta ironia nelle quali i personaggi fanno i conti con se stessi, secondo una prassi non meno americana dei cocktails, delle bandierine a stelle e strisce, dell'impegno in lavoretti manuali e degli altri elementi nazionali descritti dalla puntuale regia di John Tillinger e prontamente riconosciuti da un pubblico chiamato a vedersi come in uno specchio. Masolino d'Amico Michelle Pfeiffer
Luoghi citati: Inghilterra, Manhattan, New York
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