«L'ho bruciata perché sparisse per sempre»

«L'ho bruciata perché sparisse per sempre» Brescia, il giovane ha colpito la sedicenne con una spranga e poi le ha dato fuoco senza accertarsi se era ancora viva «L'ho bruciata perché sparisse per sempre» Drammatica confessione dell'ex fidanzato assassino BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO No, non lo sapeva se Katy era morta davvero quando all'una di venerdì notte le ha dato fuoco sulla sponda del canale, dietro a un cespuglio. E neanche gli importava. Davanti a quel fuoco, mentre la sua ex ragazza bruciava, lui, Davide Cella, 19 anni, se n'è stato immobile a guardare, aspettando che il fuoco finisse il suo lavoro, sino a che di Katiuscia Razio, 16 anni, non è rimasto molto: la madre, all'obitorio, l'ha identificata grazie agli anelli e a un cuoricino d'oro. Poi se n'è andato, con la sua Golf nera, a chiudere la notte correndo sulle provinciali che vanno da Calcinato a Brescia, da Bedizzole alla sua frazione San Vito, tutti posti pieni di nebbia, fabbriche, villette, vite ordinarie. «Cercavo un muro per uccidermi», ha detto senza emozione ai carabinieri, durante l'interrogatorio di sabato notte, quando ha smesso di inventare e si è deciso a confessare tutto. «Cercavo un posto per andarci a sbattere con la macchina e farla finita», ha ripetuto, mai poi non ne ha avuto il coraggio e ha viaggiato sino a casa, villetta di San Vito, dove si è messo a dormire. «Un conto è uccidere, un al¬ tro ammazzarsi - dice l'anziano appuntato della caserma di Calcinato -. Quello non ha coraggio, ma pazzia. Ci ha confessato tutto e neanche ha fatto una lacrima. Dice che è stato male di testa in questi anni. Probabile». Tanto probabile che Emma Avezzù, sostituto procuratore di Brescia, ha già disposto la perizia psichiatrica e che l'avvocato Francesco Massara non nasconde inquietudine di fronte al comportamento del suo assistito: «E' sempre stato calmissimo. Gelido. Vuoto». Ha avuto un esaurimento nervoso e perciò è stato riformato, racconta chi ha conosciuto questo ragazzo di 19 anni, elettricista, figlio di un geometra, famiglia benestante, capelli corti, magro, la passione per le automobili. Non molti amici. Non molto estroverso. Non molto infelice. Da 48 ore, dopo la decisione del giudice, sta in una delle celle d'isolamento del carcere di Brescia, tuta da ginnastica, scarpe da tennis, giubba nera, e forse ripensa a quello che ha fatto a Katy e a se stesso. Dice che è stata colpa dell'amore finito. Della gelosia che provava per lei. Ma a un certo punto, nel racconto-confessione, dice anche che lei era incinta e non voleva tenersi il bambino. Non voleva tenersi lui. Voleva tornare libera. Per que¬ sto un mese e mezzo fa, dopo un anno di amore, lo aveva lasciato e aveva ricominciato a fare la vita di una ragazza di 16 anni, con le amiche, la scuola, le lunghe telefonate, la discoteca. E' vera la storia del figlio? La famiglia di Katy nega. Negano le amiche. Davide, quando racconta la storia una seconda volta al magistrato, se ne dimentica. L'autopsia non potrà accertarlo. Ed è meglio così. Vero è tutto il resto, di quella notte, venerdì 27 dicembre. Katiuscia, capelli biondi, giacca rossa, va a mangiare la pizza con la madre, alle nove attraversa un paio di strade di Calcinato, paesone industriale vicino a Brescia, va dalla sua amica Marina. Davide gira sulla sua Golf, tra San Vito e Bedezzole, carica Emanuele, un amico. Katy e Marina si incamminano verso la discoteca Capretti. Sullo spiazzo dei posteggi incontrano altre tre ragazze, entrano tutte insieme. Davide frena davanti alla discoteca. Katy è già sulla pista da ballo, quando lui entra e comincia a cercarla. Racconta Marina: «Lui non si dava pace. Voleva tornare con Katy e lei non sapeva come liberarsene. Lui è un tipo pesante. Possessivo, gelosissimo. Quando stavano insieme Katy non poteva mettere piede in discoteca. Non poteva uscire con noi. Arrivava, le diceva: sali in macchina e se la portava via». Li vedono in molti quando si incontrano al bancone, quando si siedono su dei divanetti, quando parlano fitto. Non li vede nessuno quando escono. «Più o meno alle undici» racconterà Davide con tono di voce tranquillo. «Ho guidato per un po', poi ci siamo fermati a parlare». Dove? «Vicino a Calcinato, dove c'è il fiume». Ci sono prati, immondizia, rovi e l'acqua del torrente Chiese. E' lì che succede. Lui non ricorda bene, dice: «Siamo scesi. Litigavamo. Allora ho preso una sbarra di ferro». Quale sbarra? «L'ho trovata sul prato». E poi? «L'ho colpita in testa. Lei è andata giù. Io non capivo. Non ricordo bene». I carabinieri rimettono insieme i pezzi. Davide usa un tondino di ferro che tiene in macchina. La colpisce due o forse tre volte. Butta il tondino nell'acqua, trascina il corpo, lo carica nel bagagliaio della Golf. Ha già in testa l'idea del fuoco. Guida sino a casa, recupera tre taniche, poi sulla provinciale si ferma al distributore automatico della Ip di Ponte San Marco. Riempie le taniche di benzina. Ancora una manciata di chilometri, con il corpo di lei rannicchiato dentro al bagagliaio che perde sangue. Si ferma alla Roggia Lonata, di fianco al canale artificiale. Sceglie il posto con cura e cattiveria: c'è un avvallamento che coprirà il fuoco, c'è un ponte che la gente chiama «ponte delle carogne». Trascina Katiuscia, versa la benzina. Dice: «Volevo farla scomparire». La ragazza, stabilirà l'autopsia, è già morta, ma Davide non lo sa e a domanda risponde. «Non me lo sono chiesto». Appicca il fuoco, ma non scappa. Sta lì. E' da solo, nel silenzio della campagna, a guardarsi le fiamme. Sino a che di lei non rimane quasi niente, a eccezione di quel cuoricino d'oro che lui le aveva regalato cinquanta ore prima, il giorno di Natale. PinoCorrìas «Poi ho guidato cercando un muro contro cui sbattere» Gli amici ricordano «Non sopportava d'essere stato abbandonato» Katiuscia Razio 16 anni è stata uccisa e poi bruciata dall'ex fidanzato Davide Cella di 19 anni che non si rassegnava ad essere stato abbandonato dalla ragazza. Dopo alcune ore il giovane ha confessato l'omicidio

Persone citate: Davide Cella, Emma Avezzù, Francesco Massara, Lonata