Così Einaudi vide l'Europa

Un incontro a Torino Un incontro a Torino Così Einaudi vide l'Europa 7n~| TORINO L ' I parla di Luigi Einaudi m europeista nel corso di I j un seminario iniziatosi A=£j ieri, e che viene concluso oggi, alla Fondazione Einaudi nel Palazzo d'Azeglio. Partecipano storici e specialisti, davanti a una platea ristretta e molto attenta a un tema di grande attualità, ma di cui molti ignorano le radici storiche e di pensiero. Spesso si dimentica che proprio il Piemonte annovera i massimi elaboratori del pensiero federalistico, tra i quali Luigi Einaudi accanto al fondatore della Fiat Giovanni Agnelli e all'economista Attilio Cabiati. S'irradia da questo nucleo una serie di interventi, di scambi epistolari, di polemiche che coinvolgono via via, tra gli anni del primo dopoguerra e quelli della Costituente, personaggi autorevoli come Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni. Una vena che include, seppure su diversi fronti, Claudio Treves e Piero Gobetti, Francesco Ruffini e Antonio Gramsci. II confronto, avviato dal figlio dello statista, Mario Einaudi, ha avuto come primo interlocutore Norberto Bobbio, come sempre attento a individuare attraverso i documenti (gli articoli del giovane economista) quella «idea» di Europa che Einaudi stava sviluppando avendo come riferimento l'esempio federale degli Stati Uniti e, in termini polemici, l'utopica proposta wilsoniana della Società delle Nazioni. Fin da quegli anni (19181920) Einaudi prefigura un'Europa federata in contrapposizione all'Europa delle sovranità nazionali, concetto che ribadirà dopo il secondo conflitto mondiale, con maggiore acutezza, «anche se - spiega Bobbio - lui poneva più attenzione ai problemi economici e meno all'organizzazione politica della federazione». Massimo Salvadori (promo¬ tore e coordinatore del seminario con la Regione Piemonte), apre il suo intervento riflettendo sul diverso atteggiamento di Salvemini ed Einaudi di fronte alla proposta del Presidente americano, Wilson, «di ricostruire l'ordine internazionale ed europeo» dopo la prima guerra mondiale. L'uno, Salvemini, vedeva in quell'organismo «l'assise possibile della democrazia internazionale» mentre l'altro individuava in esso (come poi avvenne) «l'arena dei futuri conflitti in primo luogo europei». Einaudi, Agnelli, Cabiati. Che cosa pensano dell'europeismo un capitano d'industria ed un economista (che insieme pubblicano nel 1918 un saggio dal titolo Federazione europea o Lega della nazioni?)? Spiega Valerio Castronovo che per loro «Europa unita significava federazione degli Stati europei sotto un potere che li regga e li governa». Ma perché una federazione e non una lega? Sembra un gioco di parole, ma una lega o una Società delle nazioni, mantenendo inalterato il potere dei singoli Stati nazionali, avrebbero innescato nuove conflittualità; mentre «per scongiurare il ritorno sulla scena tanto dell'imperialismo che del nazionalismo economico» bisognava creare un'Europa federata che affiancandosi alle due famiglie comunitarie già esistenti (gli Stati Uniti e il Commonwealth) «avrebbe rappresentato un elemento di equilibrio». La conversione del continente europeo in «un unico mercato di produzione» avrebbe avviato una seconda rivoluzione industriale e un processo di modernizzazione in ogni campo della vita sociale ed economica. In sala c'era anche Ernesto Galli della Loggia, garbatamente polemico con Salvadori. Sono intervenuti, a integrazione del tema, Giuseppe Berta e Corrado Malandrino. Oggi parleranno Lucio Levi, Luciano Cafagna e Sergio Pistone. [p .p .b.]