Aids a rischio i baci passionali

Per la prima volta l'Oms lancia l'allarme, ma i medici inglesi sono scettici Per la prima volta l'Oms lancia l'allarme, ma i medici inglesi sono scettici Aids, a rischio i baci passionali Sorpresa a Londra per la nuova tesi di uno studioso «Il virus diffuso dagli esperimenti contro la malaria» Verona, medico finisce sotto inchiesta Ucciso dall'anestesia nell'ospedale militare E' un ufficiale operato alla tiroide Forse scadute le fiale di adrenalina LONDRA. E se anche il bacio diventasse un'attività a rischio di Aids? Naturalmente non i baci sulla guancia, ufficialmente riconosciuti innocui, ma quelli passionali, che gli inglesi chiamano «alla francese». Questa ipotesi, finora sempre minimizzata, viene rilanciata alla grande dall'Organizzazione mondiale della Sanità in un opuscolo che verrà distribuito in occasione della «Giornata mondiale dell' Aids», il prossimo primo dicembre. E' la prima volta che l'Oms prende posizione su questo specifico - e controverso - punto. Ammette che mancano le prove di un rischio effettivo dei baci «troppo sensuali», però aggiunge che non è possibile escluderlo, dato che i rapporti sessuali sono spesso accompagnati da «ampio scambio di saliva e probabilmente anche di sangue» e questo non facilita la ricerca del sito esatto in cui si nasconde il virus. Il pericolo connesso al bacio è questione che ritorna a ondate. Nella primavera scorsa se n'era di nuovo parlato perché una ricerca sulle mucose condotta in un autorevole laboratorio di Boston aveva dimostrato che il virus non si trasmette solo attaverso il sangue - come si era pensato fino ad allora ma anche attraverso le mucose intatte (comprese quelle della bocca). Quasi nessuno però crede che la quantità di virus presente nella saliva sia davvero pericolosa. Tutti i dati raccolti in questi dieci anni confermano che il vero rischio sta nello scambio di sangue e nei rapporti sessuali. Infatti alcuni medici britan mei, commentando la notizia dell'Oms, si sono detti sorpresi di una dichiarazione del genere, aggiungendo che un dibattito sul presunto rischio dei baci potrebbe sviare l'attenzione dal pericolo, ben più grave e concreto, dei rapporti sessuali casuali e non protetti. Intanto c'è una nuova ipotesi su come l'Aids abbia potuto passare dalle scimmie all'uomo: secondo questa ipotesi potrebbero essere stati gli esperimenti per un vaccino contro la malaria condotti tra gli Anni Venti e gli Anni Sessanta inoculando nell'uomo sangue prelevato da scimmie. Ne parla, sull'ultimo numero della rivista scientifica «Nature», uno scienziato britannico, Charles Gilks del John Radcliffe Hospital di Oxford, ricostruendo la storia di questa sperimentazione. E Robert Gallo, che con Lue Montagnier è stato il primo a isolare il virus dell'Aids, ha definito l'ipotesi «affascinante e sconvolgente: merita di essere approfondita». Uno dei primi esperimenti antimalarici di cui si trova traccia nella letteratura scientifica risale al 1922: due scienziati iniettarono su se stessi del sangue contenente il parassita della malaria prelevato da scimmie. Nei vari esperimenti che si sono susseguiti nell'arco di cinquantanni sono state coinvolte ufficialmente una settantina di persone e diciassette scimpanzè. Ma potrebbero anche essere di più: non tutti vengono registrati, soprattutto se hanno esito negativo. L'ultimo di cui Gilks ha raccolto le prove è stato effettuato in Kenya verso la fine degli An A — 0 ni Cinquanta su alcune decine .a I di detenuti. L'ipotesi che il virus sia arrivato dai primati è stata formulata fin dalla metà degli Anni Ottanta perché il virus che colpisce gli africani è molto simile a quello trovato nel sangue di scimmie e scimpanzè. Finora si era però sempre pensato che la trasmissione fosse avvenuta attraverso rapporti sessuali o nel corso della macellazione di animali malati. Mai si era presa in seria considerazione l'ipotesi della trasfusione diretta di sangue. Marina Verna Secolo; Morire di anestesia non riuscita e perché le fiale di adrenalina sono scadute: è successo nell'ospedale militare di Verona. Un ospedale all'avanguardia, dotato di strutture di primo piano. Un ospedale «privato» che dovrebbe essere immune dai tanti mali che affliggono tutto il pianeta Sanità nazionale. La Procura della Repubblica di Verona infatti ha aperto un'inchiesta sul decesso del maggiore Alberto Tupini, 41 anni (la moglie aspetta il secondo figlio) in servizio nello stesso ospedale militare come capo dell'amministrazione. Un avviso di garanzia è stato inviato dal sostituto procuratore Mariella Fino al capitano Maurizio Maresi, che fa l'anestesista. Tre giorni di coma per un'anestesia difettosa (questa l'accusa formulata dalla procura della Repubblica) poi l'inutile trasporto del maggiore alla rianimazione del Policlinico padovano e infine la morte del maggiore. Questa la vicenda dolorosa dell'ufficiale e della sua famiglia che assistita da un legale e con la consulenza di un esperto in anestesia e rianimazione del policlinico di Padova ha chiesto alla Procura di accertare eventuali responsabilità. La drammatica vicenda s'inizia nei giorni scorsi. Il maggiore doveva essere operato alla tiroide nel moderno ospedale militare. Una crisi acuta in fase di preanestesia gli aveva però procurato un arresto circolatorio. Secondo l'accusa l'ufficiale Una striscia di Lupo Alberto utilizzata per la campagna di prevenzione dell'Aids poteva essere salvato inviandolo in rianimazione. Invece mancando la struttura si sarebbe corsi ai ripari con una iniezione di adrenalina che però non è stata poi fatta perché il farmaco in possesso all'ospedale era scaduto. Si è così perduto ulteriore tempo con il coma diventato intanto irreversibile. Adesso si attende l'esito dell'autopsia che è stata eseguita dal professor Mario Marigo consulente tecnico d'ufficio già preside della facoltà veronese di medicina. Un'autopsia che deve sciogliere i dubbi lasciati aperti dalla morte del maggiore. Una morte che poi getta nuove ombre e ulteriori preoccupanti interrogativi sull'efficienza delle strutture sanitarie. Per la non disponibilità dell'adrenalina soprattutto ma anche per le spese fatte per ammodernare l'ospedale militare senza poi dotarlo di una struttura importante, indispensabile come una sala rianimazione. Due nuove sale operatorie, una di ortopedia e una di chirurgia, sono state infatti aperte pochi mesi fa realizzate in convenzione con la facoltà di medicina. L'ospedale è stato anche dotato di un apparecchio per la Tac ed il personale medico altamente specializzato inviato a Verona come nel caso del capitano Maresi proprio per far funzionare i nuovi impianti. Ma senza sala rianimazione in pratica tutta questa attrezzatura è risultata inutile per il maggiore Tupini. VERONA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Franco Ruffo