Voleva picchiarlo ma lo uccise: 12 anni e mezzo

Voleva picchiarlo, ma lo uccise: 12 anni e mezzo Delitto del capufficio, sentenza a sorpresa: i giudici hanno deciso dopo 18 ore di camera di consiglio Voleva picchiarlo, ma lo uccise: 12 anni e mezzo Evitato l'ergastolo, l'impiegato ricorre Carlo Morelli è colpevole, è responsabile della morte del capoufficio Guido Turolla, ma non merita l'ergastolo perché non ha ucciso con premeditazione. L'impiegato della Tdi di Racconigi voleva dare una lezione all'uomo che gli bloccava la carriera. Per questo lo ha atteso nel garage di strada Maiole a Testona di Moncalieri, lo ha aggredito, ma il colpo sferrato al capo con una sbarra di ferro o un cric è «andato oltre le sue intenzioni»: è stato un omicidio preterintenzionale. Questa la conclusione della corte d'assise che ha condannato Morelli a 12 anni e mezzo di carcere. La sentenza è stata letta alle 4,10 di ieri mattina, dopo una camera di consiglio durata 18 ore, una delle più lunghe degli ultimi tempi per un giudizio con un solo imputato. Un verdetto sofferto e contrastato, che ha colto un po' tutti di sorpresa. «Una sentenza inattesa», ha commentato il pubblico ministero Alberto Perduca che aveva chiesto l'ergastolo per l'imputato. «Non c'erano elementi per affermare la responsabilità dell'imputato. Siamo riusciti ad allontanare lo spettro dell'ergastolo, la corte ha accolto la nostra tesi sulla sproporzione tra il movente della carriera mancata e il delitto», hanno detto i difensori Salvo Lo Greco e Mario Bertolino. I quali hanno aggiunto: «E' un verdetto di compromesso. Noi siamo convinti che non c'erano spazi per soluzioni intermedie in un processo indiziario come questo, puntellato dalle perplessità piuttosto che dalle certezze». Qualche perplessità affiora anche dal pubblico ministero: «Nessuno pensava a una soluzione del genere. Bianco o nero, colpevole o innocente: erano queste le posizioni sulle quali c'è stata battaglia in aula. Occorrerà attendere le motivazioni della sentenza per una valutazione serena». Il nodo principale del processo era: Morelli è l'autore degli atti di vandalismo sulle auto, i citofoni e le cassette delle lettere dei colleghi dei lavoro? Era nel garage di strada Maiole la sera del 10 ottobre '90? Il pm e le parti civili Anetrini e Altara hanno risposto di sì: «E' lui. Ha atteso Turolla sotto casa, è stato visto dall'autista di un pullman. Ha colpito per uccidere. Merita il carcere a vita». I difensori hanno ribattuto: «Morelli non c'entra, non c'è alcuna prova contro di lui. Va assolto». Bianco o nero, ergastolo o assoluzione, nessuno pensava a una soluzione diversa. Per questo, quando il presidente Giancarlo Caselli, il volto visibilmente affaticato, ha letto la sentenza c'è stato un attimo di perplessità tra i banchi. Quel verdetto non soddisfaceva in pieno nessuno: pesante per la difesa, leggero per l'accusa. Morelli lo accoglieva con sgomento. La sicurezza che aveva mostrato in cinque mesi di udienze si dissolveva. Per un attimo la voglia di piangere lo assaliva. La moglie e i fratello erano impietriti. Il pallore dominava sui volti dei giudici. Visi tesi che mostravano chiaramente i segni di una lunga, dura battaglia nella camera di consiglio tra gli innocentisti e i colpevolisti. «Colpevole di omicidio preterintenzionale premeditato - leggeva il presidente Caselli -. Negate le attenuanti generiche». L'imputato ha premeditato l'aggressione, non l'omicidio. In attesa dell'appello, Morelli è tornato in carcere. Prima di salire sul cellulare ha confidato al cronista: «Non ho ucciso Turolla. Ho avuto con lui un nor¬ male rapporto di lavoro. Neppure con gli altri colleghi c'erano problemi. Non odio nessuno anche dopo quello che hanno detto di me». In carcere ha trovato comprensione e umanità. Il suo cruccio più grande sono le tre figlie: «Non le vedo da quando mi hanno arrestato. Non voglio che vengano a trovarmi in carcere, non devono ricordare un padre carcerato». Nino Pietropinto Carlo Morelli dietro le sbarre durante il processo

Luoghi citati: Moncalieri, Racconigi