Torna Stuparich con i suoi ideali di Alessandro Galante Garrone

Torna Stuparich con i suoi ideali Trieste: convegno a 100 anni dalla nascita. Si ripubblica il romanzo antifascista Torna Stuparich con i suoi ideali La «generazione carsica» contro la dittatura D A qualche anno assistiamo, in molti Paesi europei, a un diffuso interesse per le opere dello scrittore triestino Giani Stuparich, morto trent'anni fa. Le traduzioni è le recensioni si succedono a un ritmo crescente: troppo lungo sarebbe enumerarle. Brevi racconti o lunghi romanzi come L'isola (il suo capolavoro, forse), Donne nella vita di Stefano Premuda hanno suscitato echi sorprendenti. In questi aitimi giorni di novembre (da domani a sabato) un convegno internazionale a Trieste metterà a fuoco la sua figura, nel centenario della nascita. Il romanzo Ritorneranno, pubblicato nel 1941 dalla casa editrice Garzanti - che oggi, con encomiabile fedeltà alle proprie origini, lo ha ristampato nella collana dei «Grandi Libri» -, fu l'opera di maggiore impegno per Stuparich, che vi lavoro, con qualche interruzione, per cinque o sei anni, fra il 1934 e il 1940, e dal gennaio al giugno del 1941 la fece comparire a puntate sulla Nuova Antologia. La prima domanda che vien fatto di porsi è perché mai sia stato scelto un titolo così stranamente suggestivo come Ritorneranno, per la dolente storia dei tre fratelli Vidali nella guerra del '15-'18. Bruno Maier, nell'ottima introduzione, ha supposto che esso fosse una reminiscenza della notissima poesia di Umberto Saba, Il borgo. «Ritorneranno /... i giorni / del fiore. Un altro / rivivrà la mia vita». E' un'ipotesi convincente. Aggiungo che si potrebbe anche pensare alla poesia Girotondo, che immediatamente segue all'altra, nella raccolta Cuor morituro (1925-1930), e così comincia: «Fosse vero che invano / non si vive? E che tutto / ritorna, tutto / si dà la mano?». Accenni di speranza nel futuro, pur nel tono complessivamente malinconico di quel ciclo di brevi poesie. Un titolo, dunque, che non è, non vuol essere pessimista, nonostante tutto; bensì infondere fiducia nell'avvenire. Ma direi che esso ha un significato più profondo, deliberatamente polemico. Esso allude al contrasto fra gli ideali che sorressero i migliori e più convinti ed entusiasti combattenti della guerra del '15, sorretti da un proposito di giustizia per i popoli e di libertà per gli uomini, e la stolida e cupa propaganda del regime imperante in Italia - di anno in anno sempre più minacciosamente sorretto e avvelenato dall'avanzare del nazismo in Europa -, con l'esaltazione della guèrra per la guerra, o per la conquista violenta di altri Paesi. Stuparich lo avrebbe poi confessato dopo l'ultimo conflitto, in Trieste nei miei ricordi: aveva voluto contrapporre il «mondo di ieri», fatto «di coscienza e di libertà», al «mondo che si perdeva in tentativi crudeli per dividere gli uomini in dominatori e schiavi»; «l'insegnamento di Cristo all'insegnamento di Nietzsche»; quella che Omodeo aveva chiamato la «generazione carsica» al «verbo dell'epoca spavaldamente in marcia». Doveva essere un richiamo alle giovani generazioni, perché sapessero, e non confondessero, e resistessero all'ondata di brutale indottrinamento che minacciava di istupidirle, avvilirle, sommergerle. «Forse - soggiungeva - le mie aspirazioni erano di molto superiori alle mie capacità. Ma bisognava tentare». Non c'era nulla di orgogliosamente aspro e sprezzante nel suo antifascismo, ma un vigile e generoso senso umano: «Ho cercato di distinguere il fascismo, cioè una mentalità, una dottrina, un regime che ho sentito sempre contrari al mio istinto e al mio spirito, e quegli uomini del fascismo che prima d'esser fascisti furono uomini, con le virtù e i difetti degli uomini». E sì che qualcuno cercò òli colpirlo, quando si seppe che la madre era nata ebrea; e, sotto la dominazione tedesca, fu rinchiuso per qualche tempo, con la madre e la moglie, nella famigerata risiera di San Sabba. La risoluzione di scrivere il romanzo fu presa intorno al 1934, anche per la lettura dei Momenti della vita di guerra di Adolfo Omodeo, allora editi da Laterza. Stuparich recensì subito, nel 1934, il volume omodeiano sulla rivista Pan, con un commosso articolo nel quale campeggiavano, accanto alla stupenda figura del suo ventunenne fratello, a Scipio Slataper e altri caduti, i fratelli Pinotto ed Eugenio Garrone, che Omodeo aveva posto al centro del suo libro, con un intero capitolo. Da questa recensione nacque la grande amicizia di Giani per la mia famiglia, specialmente per la mia nonna, la mamma dei Garrone. Dell'intento morale e pobtico di Ritorneranno darò solo un esempio. Quando Francesco Gabrieli lesse il libro, sentì il bisogno di scrivere a Stuparich che gli rispose pensando ai giovani che, come Gabrieli, avevano su per giù una dozzina d'anni meno di lui: «Voi siete proprio in mezzo tra il prima (la guerra del '15'18) e il dopo; a voi di scegliere tra gli ideali di allora e gli ideali di oggi, che solo disperati tentativi possono cercar di conciliare o superficiali mentalità confondere. Sentirsi uniti agli ideali di allora vuol dire scegliere la solitudine, il veramente pauroso deserto dell'isolamento. Per noi è questione di fedeltà, per voi di libertà e di coraggio». Inutile dire che queste ultime parole valevano anche per chi, come me e i miei coetanei, aveva pochissimi anni meno di Gabrieli (divenuto anche allora, e per le stesse ragioni, amico nostro). Sorgevano spesso, spontaneamente, questi consorzi fra spiriti ansiosi di libertà. Val la pena di ricordare l'effetto che Ritorneranno fece, nel 1941, su Piero Calamandrei. Dopo averne conversato con un finissimo critico letterario, grande amico suo, Pietro Pancrazi, gli scrisse una lunga lettera, insistendo su quel che gli sembrava quasi un limite artistico dell'opera. I tre fratelli del romanzo, e il loro amico e compagno Cesare (nel quale era adombrata la figura di Scipio Slataper), gli sembravano di una purezza troppo assoluta, quasi soprannaturale, come disincarnata, come se fossero una persona sola, non concreti individui pienamente umani. Ma subito soggiungeva che davanti a quel libro sentiva il dovere di «cavarsi il cappello». «Nello scaffale dove c'è Lorenzo Benoni, o Carducci, o Mazzini, non ci sfigura». E concludeva: «A parte questo giudizio artistico, questo libro è soprattutto, dal principio alla fine, un'opera buona in questo momento, nel senso pratico e politico dell'espressione». Pancrazi recensendo il libro di Stuparich (e quasi rispondendo all'amico Calamandrei) condivideva il giudizio artistico su quei personaggi così evanescenti, «larvali»: figure che «stingono un po' l'una sull'altra, e talvolta sembrano aspetti di una stessa persona». Ma anche per lui Ritorneranno era da mettersi «fra i bei racconti del Bisorgimento, dove sono il Lorenzo Benoni e le Noterelle, dell'Abba». Da quei giovani combattenti si sprigiona «una figura unica di soldato, bellissima di poesia e di verità». Stuparich - diceva Pancrazi - era stato mosso da un «assillo morale». Nel romanzo si sentiva 1'«accoramento segreto di chi, ricordando i sacrifici di quella guerra, rintraccia nell'anima sua idealità in questi anni [1941] obliterate ma non perdute e le riafferma agli immemori». Per questo il romanzo «è anche una buona azione». (Dati i tempi, era un parlare piuttosto chiaro). E', per concludere, un romanzo insaporito da un lievito risorgimentale; irrobustito da un sobrio, antiretorico realismo nel far sentire tutta l'atrocità della guerra, di ogni guerra; e illuminato, nel suo ampio e lento fluire e persino nel titolo, dalla speranza di un «ritorno» dell'Italia, e di tutti i suoi figli agli ideali della guerra del '15. Mi pare questo il senso ultimo del libro; un libro d'amore, non di odio. Un particolare ancora: Stuparich ha voluto, nel suo romanzo, togliere di peso alcuni episodi, o stati d'animo, dalle lettere di guerra dei due alpini vercellesi. La figura rocciosa di Alberto è il ritratto di Pinotto Garrone; non un personaggio, immaginario, di fantasia. Tutto il libro, dal principio alla fine, è come la storia morale di un'intera generazione che andò a morire sul Carso e sul Grappa. A conferma di ciò, si vedano alcuni brani tratti dalle lettere inedite di Giani Stuparich alla madre dei due Garrone. Essi ci aiutano a capire da un lato il tormento di chi visse in amara sohtudine nell'«era delle tirannie», e dall'altro la fiducia, anzi la fede nel «ritorno» degli imperituri ideali di giustizia e di libertà. Alessandro Galante Garrone A fianco, i fratelli Pi'notto e Eugenio Garrone. Sotto, la madre Maria: a lei Stuparich indirizzò Nell'immagine grande lo scrittore triestino Giani Stuparich: il suo romanzo «Ritorneranno» viene ripubblicato dopo 50 anni

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