Jannacci, anche i saltimbanchi non ne possono più di Gabriele Ferraris

Jannacci, anche i saltimbanchi non ne possono più Jannacci, anche i saltimbanchi non ne possono più Dice: «Non faccio neppure satira, oggi Berlusconi e la Rai ci rimbambiscono» Enzojannacci: rabbia sommessa suoi discografici. boni e tipi strani. Adesso i tipi strani sono finiti, restano soltanto tipi televisivi, nel bel paese «dove si specula allegramente sulle disgrazie della gente», e dove «stiam diventando tutti coglioni con Berlusconi e con la Rai». E la gente ride, e batte le mani a tempo. Come in tivù. La rabbia dell'ex saltimbanco è quasi sommessa, è stanchezza e urgenza di dire. Jannacci dice, e sa che è magra consolazione, gli spettacoli d'arte varia non cambiano il mondo. «Saranno due mesi, a ogni concerto me la prendo con uno del Niguarda, un medico che gli morivano anche gli operati di emorroidi, e un partito l'ha piazzato a fare i trapianti. Io lo dico, lui resta». La gente ha diritto a due ore di svago; e si avverte, nel concerto triste di Jannacci - fatto di vecchie storie, «L'Armando», e di nuovi disgusti, «La fotografia» così feroce - lo smarrimen¬ to d'essere cabarettista sul Titanic. I musicisti soffiano nei sax e l'ex saltimbanco a tentoni s'avventura fra le atmosfere di «Sotto le stelle del jazz» e «Vincenzina e la fabbrica», è a tratti stranito, e poi verboso oltre misura, e alla fine cede alla battuta facile, persino contro Marco Masini, che è davvero sparare sulla Croce Rossa. Però c'è in agguato «Quelli che», e lì non puoi accontentarti delle usate e usurate gag ridanciane, «quelli che fanno l'amore in piedi e credono di essere in un pied-à-terre». Non adesso, non nell'Italia di «quelli che le bombe, Bologna, Ustica, piazza Fontana; quelli molto giovani che sono in galera e non sanno bene il perché; quelli che sono fuori e lo sanno benissimo». E anche gli ex saltimbanchi, nel loro piccolo, si sdegnano. TORINO. «Quelli che ci raccontano come finisce Beautiful e non ci hanno detto com'è finito Moro». «Quelli che» cambia, si adatta allo stato delle cose. La canzone che Enzo Jannacci e Beppe Viola scrissero per raccontare l'idiozia montante dell'Italia '75, diventa aggiornato rapporto sull'Italia '91. «Non è neanche satira, è soltanto dire ciò che succede», borbotta l'Enzo Jannacci non più saltimbanco. Arriva il momento che persino i saltimbanchi, nel loro piccolo, non ne possono più, e rinunciano all'ironia sottile, all'ilarità del giullare. Bisogna alzare il tiro. Non è un concerto allegro, quello che Enzo Jannacci porta in giro per i teatri italiani. Nemmeno astuto. Via le canzoni facili, i motivetti orecchiabili, «ho tolto mezzo repertorio, non faccio neanche tutte le canzoni dell'album nuovo». Figurarsi come saranno contenti i L'altra sera Jannacci ha cantato - per quel che significa cantare - al Teatro Colosseo di Torino. Neppur mille spettatori: meno di quanto meriti, più di quanto possa attendersi uno che non piace alle ragazzine e non specula sulle miserie umane e non pianta le tende in tivù. Già, la tivù. Un tempo, cent'anni fa, bastava dire «la televisiun ha una forsa da liun, la televisiun te indurmenta come un cujun» e ti eri levato il pensiero. Ma l'eccesso chiama l'eccesso e oggi l'ex saltimbanco, nel suo piccolo, deve sdegnarsi davvero, sparare anche sulle vittime che si fanno complici, raccontare le invidiabili famiglie d'Italia con il padre scappato di casa che finisce a «Chi l'ha visto?» e la zia che ammazza il marito e si becca l'ergastolo a «Un giorno in pretura». Cent'anni fa, Jannacci cantava la marginalità un po' buffa di bar¬ Gabriele Ferraris

Luoghi citati: Bologna, Italia, Torino, Ustica