Quattro Russie un solo rebus

Quattro Russie un solo rebus Un saggio di Strada Quattro Russie un solo rebus OVE va la Russia? Il mondo intero sta cercando di dare risposte a questo interrogativo, così urgente, così cruciale. Ma le risposte sono quanto mai incerte. E questa incertezza diventa fonte di una grande diffusa inquietudine. Non è certo la prima volta, da quando è diventata «europea» in seguito alla rivoluzione dall'alto di Pietro il Grande, che la Russia conosce rotture o quanto meno svolte drammatiche tali da metterne in gioco l'«identità» e il «destino». Così è stato con Pietro il Grande, così con Caterina II, così con Alessandro I nel periodo dei progetti riformatori di Speranskij, così con Alessandro il Liberatore, così nel 1905 e con Stolipyn, così dopo il febbraio 1917, così dopo la rivoluzione di Ottobre, così dopo la vittoria di Stalin nel '27, così dopo la «destalinizzazione» krusceviana, così dopo l'avvento al potere di Gorbaciov, e così ora, dopo la rivoluzione di agosto. Vittorio Strada, uno dei maggiori studiosi italiani di cose letterarie e storico-politiche russe, fa ora uscire presso Marsilio una raccolta di saggi di grande attualità, dal titolo La questione russa. Identità e destino. Al centro, Strada pone i seguenti problemi: quali siano le radici della Russia moderna; quali le tappe fondamentali del suo percorso; quale il rapporto fra la Russia prebolscjbvica e la Russia totalitaria; quali le prospettive della nuova Russia postcomunista apertasi alla democrazia. Volendo stringere ulteriormente, il nodo principale appare quello del significato del potere boi- Pietro il Grande scevico in rapporto all'identità russa. Ebbene, la risposta di Strada è in certo modo tutta sintetizzata in alcuni aspetti essenziali della sua analisi. Egli definisce la presa del potere da parte dei bolscevichi «la grande "involuzione" d'Ottobre», la rivoluzione comunista «figlia di un vuoto, di un'assenza, di una negatività piuttosto che di una esigenza positiva e concreta», la società sovietica interamente «artificiale»; giudica il potere sovietico «unico grande e completo totalitarismo» dell'età contemporanea; vede l'artefice della vittoria bolscevica, Lenin, nelle vesti di genio della maledizione totalitaria che ha colpito la Russia. Il ritratto che qui Strada fa di Lenin è annichilente: «C'è in ogni sua costruzione intellettuale e politica un rigore di morte, una razionalità devitalizzante, un'autorità oppressiva», avente un «unico idolo: il potere». Leninismo e potere sovietico, con il loro astratto internazionalismo, hanno avuto, nei confronti dell'identità russa, un ruolo di autentiche forze di perversione. Ma come si colloca una simile negazione dell'identità russa nella storia della Russia moderna e contemporanea? Strada parla di quattro Russie. La prima è stata quella apertasi alla modernizzazione e all'Europa con Pietro il Grande, la cui opera egli valuta positivamente, poiché spezzò «il muro che per secoli aveva diviso la Russia dall'Europa»; la seconda quella ottocentesca, contrassegnata dalla «grande creatività culturale»; la terza è la Russia nata dall'incontro tra il messianesi- mo radicale «slavofilo-populista» e il leninismo; la quarta Russia è quella democratica odierna che, dopo il fallimento del riformismo sovietico gorbacioviano, lotta per riconquistare la propria identità snaturata dal bolscevismo. Questo lo scheletro analitico del libro di Strada. Un volume che rispecchia in pieno le qualità dell'autore: la rara conoscenza della storia culturale e politica russa, la scrittura limpida, la risoluta volontà di andare al cuore dei problemi e di prenderli di petto, la capacità di stimolare realmente l'intelligenza dei suoi lettori. Ritengo però che le «tesi» di Strada sui nessi fra la Russia prebolscevica, quella che egli definisce dell'«usurpazione bolscevica» e la Russia postbolscevica suscitino molti problemi. Uno riguarda l'«animus» di Strada verso il bolscevismo e in particolare Lenin. Si tratta di un atteggiamento che mi pare precluda la strada a capire, ad esempio, quale sia stata la grandissima forza di attrazione che il leninismo ha esercitato su tutti coloro che sono diventati comunisti e filocomunisti; i quali dalla impostazione di Strada risultano non essere stati altro che reclutati da un esercito del male. Persino il vecchio rinnegato Kautsky, che aveva senza mezzi termini combattuto, e per tempo, il Lenin capo del bolscevismo al potere e da questo era stato combattuto in maniera implacabile, aveva scritto in morte di Lenin nel 1924 parole che a me pare vadano bene anche oggi dopo la morte del bolscevismo: «Un eroe della rivoluzione proletaria», «una figura colossale, quale poche si trovano nella storia mondiale», il cui destino era stato quello di aver bensì «portato la rivoluzione proletaria in Russia alla vittoria, ma di averla resa incapace di portare frutti». Nell'affrontare il rapporto fra la Russia zarista e la Russia bolscevica, Strada da un lato in più luoghi sottolinea come la vittoria bolscevica abbia avuto le sue solide radici nella crisi della società prerivoluzionaria; dall'altro insiste nel considerare la Russia sovietica come una realtà «non russa», come una violenza artificiale, una sorta di parentesi finalmente cancellata dalla nuova Russia degli Eltsin. Qui Strada, nel valutare il bolscevismo, sembra applicare alla storia russa i criteri metodologici che Ritter e Croce applicarono per giudicare il posto del nazismo e del fascismo nella storia tedesca e italiana. Mi domando se non emerga una irrisolta tensione fra due poli interpretativi. L'autore mostra nel suo libro una grande fiducia nella rinascita democratica della Russia. Chi non vuole seguirlo? Certo è che questa fiducia deve ancora, anche dopo la rivoluzione di agosto, sostenere le sue prove decisive. Purtroppo i timori sono molti, anzitutto riguardo la forza della democrazia russa. Le difficoltà che stanno di fronte all'avvenire Strada le indica bene scrivendo a conclusione che «la nuova Russia si forma in una situazione storica che non trova precedenti nel suo passato e che mette in questione la sua identità statale». Massimo L. Salvador! Pietro il Grande