Humas: come Robespierre

Humas: come Robespierre Humas: come Robespierre PARIGI. Non è facile in Usa essere pellerossa - anzi «native americans», come prescrive l'ultima disposizione antirazzista. Quando poi si ha il francese come lingua madre i guai non possono che aumentare. In questa condizione vivono 7000 Humas, entro una regione paludosa della Louisiana quasi inaccessibile sino ai 1915. L'uomo bianco li guarda con sorpresa, sioux e apache con qualche invidia per non aver ceduto agli yankee almeno sul piano della grammatica. La loro francofonia risalirebbe al 1682, anno in cui l'esploratore Lasalle incontrò la tribù. Impararono il francese e lo padroneggiano tuttora con un certo orgoglio. Il loro accento, tuttavia, rende il discorso quasi incomprensibile: distorsioni come quelle che si trovano nel Quebec (pronuncia larghissima, ritmo cantilenante) si amplificano ulteriormente. E il lessico è composto di parole originali con altre indie o britanniche francesizzate. E' un linguaggio arcaico, con termini che suonavano familiari ai contemporanei di Robespierre, ma resiste : e anche i recenti spot diffusi tra gli Humas per eleggere il governatore Edwards lo dipingevano come «notre ami». [e. bn.] 101 GIAPPONESE 11) FRANCESE 121 TEDESCO 131 URDÙ 141PUNJABI 151 COREANO 161TELEGU 171 TAMIL 181MARATHI 191 ITALIANO 201 GIAVANESE velocemente. Solo a livello europeo, per esempio, le statistiche '87 indicavano come nella Repubblica Federale Tedesca il 96% degli studenti scegliesse l'anglo-americano. La riunificazione con la Ddr ha rimesso parzialmente in onore il francese, ma non bisogna illudersi: nell'area ex comunista questa lingua era artificialmente incentivata dal regime per contrastare il fascino yankee. Forse crollerà insieme ai Muri. Il lamento si ripete quasi ovunque. Gli Instituts Cultu- rels registrano un forte calo europeo, e la situazione nelle Americhe non è certo migliore. L'Africa settentrionale vacilla da quando - l'anno scorso - le autorità algerine vararono drastiche misure per impedire l'uso dell'antica lingua coloniale. E in Libano, antico feudo, le iscrizioni alle classi d'inglese sono per la prima volta maggioritarie. Solo in Asia Mitterrand può parlare, come ha fatto, di «riconquista». Ma anche quando i .numeri «tengono» grazie all'indiscutibile charme tran¬ salpino, la marginalizzazione progredisce. Il semplice parametro quantitativo, infatti, non basta per illustrare il favore d'una lingua. I tagalog-parlanti, mettiamo, non costituirebbero mai una sfida per la francofonia anche se divenissero 100 milioni. E' l'uso finanziario, scientifico, commerciale oltre le patrie frontiere a consacrare la famosa universalità. Ma qui siamo ormai in zona retrocessione. Non è un mistero che Parigi imponga ai suoi diplomàtici e delegati interna- AL GIORNALE