Un cerchio di fuoco stringe Dubrovnik

Un cerchio di fuoco stringe Dubrovnik EArmata: il tempo per discutere è finito. Tudjman chiede a Bush osservatori militari Un cerchio di fuoco stringe Dubrovnik Attacco da terra e dal mare, colpito il vecchio centro ZAGABRIA DAL NOSTRO INVIATO Lo Stato Maggiore jugoslavo sta stringendo la morsa intorno a Dubrovnik, ormai isolata dal mondo, e per la prima volta ha lanciato all'attacco la fanteria: mille assaltatori che dall'alba di ieri tentano di prendere Vukovar, la seconda città della Slavonia ma soprattutto un simbolo di resistenza tenace: «la nostra Stalingrado», come la chiamano i mass media croati, a sera sembrava sul punto di cadere. Mai finora l'Armata si era impegnata così a fondo e in attacchi frontali, in un'offensiva così determinata che durerà, promette lo Stato Maggiore, fin quando i croati non toglieranno l'assedio alle caserme jugoslave. Zagabria annuncia che le sue difese reggono; ma comincia ad ammettere, qua e là, «ritirate strategiche». E intanto guarda con apprensione alle grandi manovre politiche in corso a Belgrado, dove la Serbia sta tentando di sfruttare l'ira e la frustrazione degli ufficiali per impossessarsi del comando dell'Armata. Lo Stato maggiore jugoslavo sembra limitarsi, per ora, a obiettivi limitati. Sui quali però abbatte tutto il suo potenziale bellico. Dubrovnik, una preda facile, è nei rifugi da 48 ore, senza luce e acqua; le linee telefoniche sono saltate, la tv è muta da quando un razzo ha distrutto il ripetitore della tv. Secondo la radio croata l'Armata avanzerebbe dall'entroterra con tank e fanti protetti dall'aviazione; un sommergibile avrebbe mitragliato il porto turistico e bloccato D porto commerciale. Le granate dell'esercito jugoslavo avrebbero colpito magazzini del porto, caseggiati in una zona residenziale, un albergo della Marina catturato dai croati; alcune sarebbero cadute anche «nei pressi del centro storico». Bilancio croato, alle 20 di ieri sera: due donne uccise, 24 feriti, e 80 morti tra gli attaccanti. L'Armata nega di aver mai sparato su zone residenziali o monumenti e di limitarsi a obiettivi di altro tipo, comunque importanti per l'economia. A Vukovar, l'altro obiettivo dell'offensiva, ieri pomeriggio lo Stato Maggiore avrebbe mandato in campo guerriglieri serbi del luogo, prontamente arruolati come riservisti e protetti da 30 tank e dall'artiglieria, una cannonata ogni tre secondi: questo almeno racconta la radio croata. Il mini-esercito di Vukovar, una milizia auto-organizzata, avrebbe tentato il contrattacco ma senza fortuna. Ora si combatterebbe casa per casa, alla periferia di una città spettrale, da tempo evacuata in massa dalla popolazione. Lo stesso esodo in queste ore avviene a Vinkovci, considerata la prossima tappa della spedizione federale. Prima di partire per l'Italia il presidente Tudjman ha chiesto un nuovo incontro con il vertice dell' Armat a, per trovare il modo di ripristinare un qualche cessate-il-fuoco. Il portavoce dello Stato maggiore gli ha risposto attraverso una dichiarazione pubblica e lapidaria: «Il tempo per discutere è finito». A sua volta Tudjman non ha dato l'ordine di porre fine all'assedio alle caserme, come preteso dall'Armata e come richiesto in precedenza dalla Cee. Ed ormai è molto dubbio che un ordine del genere sarebbe rispettato dalle incontrollate milizie croate. Il presidente non sembra neppure in grado di disarmare la milizia di estrema destra costituita dal Partito del Diritto, ora pronta a sparare sulla polizia croata. Al Partito del Diritto si sono uniti tre deputati dello stesso partito di Tudjman, segnale di una fronda interna che monta. Quanto alla Guardia nazionale, sembra obbedire più ai suoi comandanti locali che al governo. Così assediato e sul dorso di una tigre, Tudjman ieri ha scritto a Bush per chiedergli di inviare subito in Croazia una «missione multare di osservatori», cioè un contingente armato: «L'Armata scrive - sta preparando un attacco in grande scala contro la nostra Repubblica... l'assalto finale alle nostre città... e già molti monumenti (del massimo valore storico) sono stati danneggiati a Zara e a Sebenico». L'attacco in grande scala paventato da Tudjman potrebbe diventare una prospettiva realistica se continueranno gli assalti alle caserme e alla Serbia riuscirà di esautorare di fatto il ca¬ po istituzionale dell'Armata, generale Kadijevic, ministro federale della Difesa. L'operazione potrebbe concludersi oggi, quando un simulacro della Presidenza federale, egemonizzato dalla Serbia, si riunirà per discutere «la situazione della difesa del Paese». Saranno presenti, annuncia Belgrado, «tre alti ufficiali»: potrebbero esprimere il gradimento dello Stato maggiore. A quel punto l'Armata prenderebbe ordini non più da Kadijevic, uno jugoslavi sta antinazionalista, ma da un ufficio di presidenza disertato da sloveni e croati e controllato dalla Serbia. E con questo assetto si andrebbe alla data fatidica del 7 ottobre, quando scadrà la moratoria sull'indipendenza della Slovenia e della Croazia e le due Repubbliche in teoria potranno dichiarare estinta la Jugoslavia. Lubiana già annuncia che il 7 si chiamerà definitivamente fuori dalla Jugoslavia. Un gran pezzo del Parlamento croato vorrebbe seguirne la strada. Tudjman per ora tace e attende. Sostegno dall'estero. Sostegno dalle due Repubbliche un tempo amiche, Bosnia e Macedonia. Ma i rappresentanti bosniaco e macedone, annuncia Belgrado, oggi parteciperanno alla riunione della Presidenza federale che potrebbe ricostituire una parvenza di federazione jugoslava. Guido RampoMi Da due giorni la città è senza luce né acqua I telefoni sono saltati la televisione è muta