Derossi, abitare con filosofia di Federico Vercellone

Derossi, abitare con filosofia Derossi, abitare con filosofia L A contiguità di filosofia e architettura, che è venuta affermandosi con forza nel dibattito contemporaneo, ha radici lontane. Il pensiero moderno, e in particolare l'idealismo tedesco ricorrono largamente alla metafora di un pensiero che «costruisce» per ritrovare in seguito una naturalità perduta. Per altro verso anche l'arte che, a partire dal tardo Settecento, ha smarrito la misura, il classico, si volge verso l'artificio; rifiuta la natura come proprio modello, se ne emancipa sino a enfatizzare la propria autonomia, a esaltare le proprie stesse regole costruttive. L'affascinante avventura delle avanguardie storiche, e in particolare di quelle più estremistiche come Dada, testimonia l'estremo esito di questo itinerario dell'arte oltre il vivente e l'impellere delle sue esigenze. Si profila così la necessità di limitare la forza dirompente della tecnica artistica; si tratta cioè di ritrovare un contesto che freni e alleggerisca l'enfasi posta sul momento costruttivo. E' in questo quadro che si colloca la ricerca di uno fra i più significativi architetti italiani di oggi, Pietro Derossi, documentata dal fascicolo monografico dei «Quaderni di Lotus» a lui dedicato: Modernità senza avanguardia (Electa, pp. 125, L. 40.000). Oltre a scritti e a progetti dell'autore, il volume contiene anche due bei saggi di Gianni Vattimo e di Ignasi de Sola Morales. Qui l'architettura tende ad abdicare alle proprie pretese di ordine e pianificazione del reale. S'impone così un fecondo colloquio con quegli aspetti del pensiero contemporaneo che, invece della metafora del «costruire», hanno fatto propria quella dell'«abitare». E' cioè l'ermeneutica, la filosofia dell'interpretazione contemporanea, a partire da Martin Heidegger, a giocare un ruolo centrale, di suggestione e confronto nell'opera di Derossi. Ciò lo conduce a volgere un'attenzione particolare al contesto (alle contingenze, alla vocazione e alle richieste del luogo) che s'impone come una sorta di dettato incerto, sempre ancora interpretabile. Con questo passo viene dimessa ogni enfasi sul gesto artistico che non ha più i caratteri dell'evento assoluto, di una seconda creazione investita di tono sacrale (che le venivano attribuiti dalla tradizione romantica giù giù sino anche all'avanguardia che, contestandoli, ne riconosceva in fondo il potere imperituro). L'opera dell'architetto non mette capo così a un universo stabile, piuttosto a una dimensione plurima, polifunzionale, rispettosa di quella molteplicità di volti, pulsioni, urgenze che caratterizzano la metropoli tardo-moderna. Si schiude in questo modo una dimensione tutt'altro che pacificata; esponendosi ai richiami e alle malie della contingenza si rischia: le troppe voci possono confondersi sino a dare luogo a una sorta di ininterpretabile Babele. Consapevole di ciò l'artista deve dunque scendere un'altra volta di tono: non solo egli non è il demiurgo, ma non è neppure un ascoltatore che pretenda di dare risposta a ogni appello. Egli si ritrae invece in una medieta che è anche gioco, trascorrere di uno spazio che assume via via molteplici ruoli, che si trasforma cioè in tempo e narrazione. Uno spazio che si fa abitare; e «abitare» - ha detto Heidegger - «viene prima di costruire». Federico Vercellone

Persone citate: Derossi, Gianni Vattimo, Heidegger, Martin Heidegger, Morales, Pietro Derossi