I nemici : per favore niente celebrazioni

I nemici: per favore niente celebrazioni I nemici: per favore niente celebrazioni RIST0FOR0 Colombo ha molti nemici: da molto tempo. In Spagna la polemica anticolombiana dura da 5 secoli. Già i cronisti coevi dell'ammiraglio genovese, da Fra Bartolomé de Las Casas a Gonzalo Fernàndez de Oviedo, cercarono di mettere in luce i limiti dell'epopea colombiana. Man mano che ci si avvicina a) 1992, data del quinto centenario, aumenta la schiera dei detrattori dell'ammiraglio. E' tutta una levata di scudi: a New York ove i verdi accusano Colombo di essere l'iniziatore delio stupro contro la natura americana; a Londra ove il partito anticolombista è capitanato dal drammaturgo Harold Pinter; a Cuba ove Castro tuona contro gli intenti imperialistici degli osannatori dell'ammiraglio. Ma chi era veramente Colombo? Tutta una serie di dubbi circonda la sua vita. Ogni giorno qualcuno ne rivendica i natali: dai portoghesi ai tedeschi, ai catalani, ai provenzali. L'ultima più bizzarra teoria lo vorrebbe addirittura di origine norvegese! Altre polemiche alimentano dubbi sulla sponsorizzazione spagnola dei viaggi della scoperta. Il giornalista Ruggero Marino nel libro Cristoforo Colombo e il papa tradito (Newton Compton, pp. 192, L. 25.000) ha avvalorato l'ipotesi che il vero finanziatore della spedizione americana fosse il papa genovese Innocenzo Vili. Per altri, e tra questi l'autorevole Salvador de Madariaga, Colombo era di origine ebraica e sarebbe una sorta di eroe della «gens giudaica» che proprio nel 1492 veniva cacciata dalla Spagna dalla fanatica regina Isabella la Cattolica. Se non vi sono dubbi sulla genovesità di Colombo, difesa con vigore dai due massimi studiosi dell'ammiraglio, cioè Paolo Emilio Taviani e la sivigliana Consuelo Varela, ve ne sono di fondati sulla sua statura umana. Non era uno stinco di santo. Lo „• scrittore cubano Alejo Carpentier ha scritto un divertente ed ironico romanzo sulla vita di Colombo, L'arpa e l'ombra (Editori Riuniti); ce lo descrive vecchio, in punto di morte, mentre riconosce i suoi peccati: «... quando mi af¬ faccio al labirinto del mio passato in quest'ora estrema, mi sorprendo davanti alla mia naturale vocazione di commediante, di animatore da martedì grasso, di creatore di illusioni (...) Deipeccati capitali, solo uno mi fu sempre estraneo: quello della pigrizia». La sete d'oro ha una parte capitale nell'avventura dell'ammiraglio. Lo attesta il suo celebre «Diario di bordo». Il 13 ottobre 1492, il giorno seguente lo sbarco nel nuovo mondo, parlando degli indiani egli confessa: «Facevo attenzione e cercavo di comprendere se avessero dell'oro». E' ancora la sete di danaro a spingerlo a sottrarre al suo marinaio Rodrigo De Triana il merito di avere per primo avvistato la terra promessa; era un merito che equivaleva ad un incassopremio di 10.000 maravedis! In una lettera inedita, scoperta nel 1988 e indirizzata ai re cattolici, Colombo pretendeva che i monarchi scrivessero al papa Alessandro VI affinché concedesse la nomina cardinalizia a suo figlio adolescente Diego, né più né meno come era avvenuto pochi anni prima con il quattordicenne Giovanni de Medici, figlio del Magnifico e futuro Leone X ! Sul piano puramente geografico Colombo non ha scoperto nulla. LAmerica era stata scoperta innumerevoli volte prima di lui. Ormai tutti riconoscono che fu il vichingo. Leif Ericsorv nel .1001 a sbarcare per primo in Terranova. E dopo di lui altri navigatori scandinavi vi approdarono. Lo stesso principio teorico della «scoperta» non regge. E' maledettamente eurocentrico. Come si poteva scoprire un continente che esisteva da millenni, con civiltà di grande cultura e di grandi tradizioni, che risalivano, come quella dei Toltechi, al XII secolo avanti Cristo? Qual era il «nuovo» mondo, il loro o il nostro? Dunque nessuno scoprì nulla: i due mondi si scoprirono, semmai, a vicenda. Lo scomparso scrittore peruviano Manuel Scorza è stato ancora più drastico: «L'Europa non ha mai scoperto l'America nel senso che non sapeva "cosa" scopriva. Fino a poco tempo fa, l'Europa non ci vide. Ci guardai ma non ci vide. Come poteva ve-\ derci se noi stessi non riuscivamo a guardarci perché ci vedevamo attraverso gli occhi dei nostri colonizzatori?». Nel convegno che il Premio Grinzane Cavour ha organizzato nel maggio scorso su «Europa America: 1492-1992» il coro dei contrari alle celebrazioni del quinto centenario era molto autorevole: secondo Mario Vargas Llosa «non ci sono scoperte da celebrare: solo un incontro tra due civiltà paritarie»; per lo spagnolo Eduardo Mendoza «l'unico modo per celebrare la scoperta di Colombo è non celebrarla; essa è nient'altro che il prolungamento del sogno di egemonia di una Spagna barocca e trionfalistica»; per il cubano Severo Sarduy, anch'egli presente al convegno del Grinzane, «celebrare Colombo è celebrare la violenza della conquista e i milioni di indios trucidati nel nuovo mondo». Non c'è pace per il povero Colombo. Siviglia sta preparando per il 1992 una manifestazione gigantesca e punta su Colombo con la precisa strategia di proiettare su scala mondiale l'immagine di una Spagna moderna, efficiente, culla della hispanidad. Genova investe tutto sull'ammiraglio nel tentativo di rimettere in piedi la sua cadente imprenditorialità. Colombo, che pure fu un grande manager e un grande navigatore, è diventato un simbolo, ora da glorificare ora da demolire. Attorno e dietro di lui si giocano gli immaginari collettivi di interi popoli e le strumentalizzazioni più impensabili. Ognuno si costruisce il suo Colombo e il suo mito. Un mito che ha attraversato mezzo millennio solcando l'ignoto sulle rotte degli oceani. Giuliano Sorta