TORINO, CUORE DI DE AMICIS di Bruno Quaranta

TORINO, CUORE DI DE AMICIS TORINO, CUORE DI DE AMICIS IL signor Cuore, Edmondo De Amicis, al forestiero in cammino verso Torino quale consiglio può offrire? Salire, prima di entrare in città, a Superga, dove batte il cuore di Eugenio di Savoia (le residue spoglie sono accolte nella viennese Cripta dei Cappuccini). La «molla» guerriera del Principe annuncia al visitatore che sotto si allarga una città-patria, un mondo ruotante intorno a un cuore, ovvero a «un'unanimità di propositi e di sentimenti», come non sfugge allo scrittore ligure-piemontese, inviato speciale nella Torino 1880. Il viaggio deamicisiano (pp. 70, L. 9500, note preziose) inaugura la collana «La città» dell'editore Lindau. In tempi di rozzo «strapaese», l'idea conforta. Soprattutto per l'anticampanilistica visione d'Italia che evoca, quella di Cattaneo: la città come «filo ideale» di trenta secoli di storia peninsulare, bussola che consente di non smarrirsi «nel labirinto delle conquiste, delle fazioni, delle guerre civili...». De Amicis esibisce una prova zoliana, si cala con sonde sensibilissime nel «ventre», nella periferia «in blouse», nelle pieghe borghesi e aristocratiche della capitale subalpina. A sei anni dal varo di Cuore, compie un'artigianale ricognizione: isola caratteri, setaccia fondali, cattura atmosfere. Un magma da cui estrarrà il galateo destinato a scortare l'Italia fino al Sessantotto (e, sotterraneamente, oltre). Il pianeta torinese esplorato dallo scrittore è una parata di scatole cinesi, distinte ma non separate, non estranee l'una all'altra. Rispecchiano il sigillo composito delle case di allora, che ospitavano, ai diversi piani, il conte, l'impiegato, la modista, lo studente universitario (e (ì. Chessu, «G ndola sul Po» squattrinato). Una varietà di fogge sociali che si ritroverà nella classe del maestro Perboni, dove coabitano il ragazzo calabrese, il plebeo Franti, 2 figlio di un macchinista (Garrone), il figlio di un ingegnere (Bottini)... L'occhio di De Amicis è esatto come un laser ed estroso, felicemente imprevedibile, come una metafora. Al tramonto «le terribili punte» delle montagne svettano «come le guglie d'una città favolosa sullo splendore d'un incendio»; le vecchie strade «sboccano in piazze e giardini come canzoni monotone e tristi che finiscano in una risata argentina»; d'inverno la ville «è chiusa da una cortina di nebbia, come dal fumo del fuoco di fila d'una barricata». Borgo San Saivario che «arieggia la "barriera" di Parigi». Il villaggio «nato ieri nella vecchia piazza d'Armi» (la Crocetta), cosparso di «tetti acuti, cornicioni frangiati, camini di forme graziose e bizzarre». Il Cottolengo, un mosaico di «recinti severi». Piazza Emanuele Filiberto (piazza di Porta Palazzo) e i suoi satelliti, una ragnatela dove l'ospite «resta preso come in un agguato». Sono alcuni fra i luoghi da cui De Amicis attinge le carte d'identità di Torino. L'architettura è «democratica ed eguagliatrice». Giallo è il colore «che impera». «Ca fassa grassia» (pardon) e «ca scusa» (s'il vous plait) dominano il decalogo indigeno delle buone maniere. E l'ora vera della città ha il sapore festoso e giansenista del vermut, mezzogiorno e dintorni. Un quadro perfetto come un racconto mensile. E ovviamente «datato», irreperibile nell'odierna pinacoteca metropolitana, sbreccata, lacera, senza cuore, una sequela di cronache che non vogliono saperne di farsi letteratura. Bruno Quaranta (ì. Chessu, «Gondola sul Po»

Persone citate: Cattaneo, De Amicis, Edmondo De Amicis, Franti, Garrone, Perboni

Luoghi citati: Italia, Parigi, Torino