Quel Rousseau padre snaturato

Quel Rousseau padre snaturato Quel Rousseau padre snaturato DNA ragazza che abbandona il proprio bambino appena nato in un ospedale, o nel cassonetto dell'immondizia, viene oggigiorno perseguita e condannata e del suo caso si dà notizia nei telegiornali nazionali. I cittadini si interrogano sgomenti sulla possibilità che simili fatti possano accadere e si cercano le varie concause: l'ignoranza, la povertà, spesso la fragilità o instabilità mentale di chi ha commesso il reato. Qualcuno si domanda incredulo se non esista più l'istinto materno. Se il bambino è vivo, centinaia di persone desiderose di figli si precipitano per adottare il neonato. Inoltre, per rassicurarci e restituirci fiducia nell'affetto degli esseri umani verso i bambini, giornalisti e telecamere indugiano a raccontare come tutte le infermiere del reparto neonati già si siano trasformate in premurose madri del piccolo, e come questi non soffra per l'abbandono, ed anzi abbia già trovato una nuova casa. Sono rituali necessari per garantire e rinforzare la nostra immagine di amore materno, che non deve essere mai scalfita. Nella cultura occidentale l'amore parentale è visto infatti come esempio supremo di totale devozione, e si ritiene che gli esseri umani siano disposti a qualsiasi sacrificio nei confronti della prole. O, perlomeno, queste immagini sono incluse fra quelle «forti», nel repertorio dell'immaginario del nostro tempo. Al contrario in altre epoche, come spiega bene lo storico John Boswell nel suo libro L'abbandono dei minori in Europa occidentale, tradotto da Rizzoli, l'uso di abbandonare i figli ha fatto quasi parte di una prassi di vita. Non stiamo parlando solo di ere barbariche e neppure di tempi mitologici, come quelli di Edipo o di Mose, esposti da neonati alle fiere di un monte, o abbandonati alle acque di un fiume, la cui vita eroica o semidivina doveva in certo modo essere caratterizzata (come in un copione) proprio da un cambiamento iniziale di madre e di famiglia. Si tratta invece di un fenomeno comune in tutta l'Europa, dall'antichità ellenistica fino alla fine del Medioevo, con periodi che hanno raggiunto l'apice fra il III e l'XI sec. d. C. e con ulteriori riprese di abbandoni a partire dal XIII secolo. Da questo momento anzi, l'abbandono diventa una pratica istituzionalizzata, con la fondazione degli ospizi per trovatelli. L'assenza di dati demografici precisi, sulla tarda antichità ed il Medioevo, impedisce di soffermarsi su quell'epoca, ma basterà qualche cifra a partire dai primi secoli in cui i dati diventano meno episodici, per chiarire l'entità del fenomeno. Alla fine del XVII secolo a Tolosa si registrava un bambino abbandonato su quattro nati (e chissà quanti altri non venivano neppure registrati). A Lione tra il 1750 e il 1789 veniva abbandonato un terzo dei nati. Nel medesimo periodo l'ospizio di Parigi accoglieva 4000 bambini all'anno. Incidentalmente, lo stesso Jean-Jacques Rousseau, uno dei padri della moderna pedagogia, contribuiva a tenere alte queste quote abbandonando uno dopo l'altro i suoi cinque figli appena nati. A Firenze si andava da un minimo del 14 per cento di tutti i bambini battezzati all'inizio del XVIII secolo, a un massimo del 43 per cento all'inizio del XIX. A Milano all'inizio del XVIII secolo si abbandonavano il 16 per cento dei neonati, ma alla fine del secolo la percentuale era salita al 25 per cento. Si calcola che nel XVIII secolo in molte città della Francia, dell'Italia e della Spagna, venisse abbandonato un bambino su tre o quattro. Bisogna considerare tuttavia che nelle città confluivano talvolta anche i bambini nati in campagna. Ad esempio, dei 13.000 o 14.000 trovatelli registrati ogni anno a Lione, più di 6000 non provenivano dal dipartimento del Rodano, in cui si trova la città, ma da quello contiguo. D'altra parte, molti genitori partivano anche dalle città sostenendo di portare i bambini a balia in campagna, ma li abbandonavano poi strada facendo. Naturalmente i genitori non si comportavano in questo modo perché erano dei mostri. Gli abbandoni si spiegano invece con la vera e propria disperazione di non poterli mantenere, a causa della miseria; con la vergogna, quando il figlio era illegittimo, frutto di un adulterio o di una relazione incestuosa; con la speranza che trovasse qualcuno disposto ad allevarlo in condizioni migliori; con la rassegnazione, se il figlio non era del sesso desiderato. In ogni caso, la cosa significativa era l'atteggiamento di fondo della società. L'abbandono era ampiamente tollerato, così come lo era la vendita dei bambini, o anche la loro «oblazione» o donazione (a quattro, cinque anni) ai monasteri, nel senso di destinare tutta la loro vita al servizio della Chiesa. Quest'ultimo motivo, anche se ispirato da motivi religiosi, non è meno sorprendente per la nostra sensibilità odierna. E a proposito, quale era l'atteggiamento della Chiesa verso l'abbandono dei bambini? Boswell lo trova sconvolgente. Molti importanti teologi raccomandavano infatti caldamente agli uomini di non frequentare bordelli per evitare di commettere incesto con una figlia abbandonata. «Quanti padri» si rammaricava Clemente Alessandrino «dimenticando i figli che hanno abbandonato, senza saperlo hanno rapporti sessuali con un figlio che si prostituisce o con una figlia che fa la prostituta!». [t. g. g.] John Boswell L'abbandono dei bambini in Europa occidentale Rizzoli, pp. 527. L. 62.000

Persone citate: Boswell, Clemente Alessandrino, Jacques Rousseau, John Boswell, Rousseau