IL NUMERO 2 NEI TAROCCHI di Giorgio Calcagno

IL NUMERO 2 NEI TAROCCHI IL NUMERO 2 NEI TAROCCHI IL tarocco numero 2 è ima donna avvolta in un manto rosso dai fregi in oro, con un libro aperto nella sinistra, un copricapo alto, stellato, quasi una sintesi fra la tiara e il triregno. E', da cinque secoli, «la papessa». Milioni di giocatori si sono passati quella carta fra le mani, sorridendo sul nome, senza conoscerne l'origine. Ma Boureau la sa. Boureau sa tutto, sulla papessa, anche quella dei tarocchi. Peccato soltanto che si affidi alle carte francesi, e sbagli la numerazione, attribuendole il 4. La papessa è la carta che vale meno, fra i 22 trionfi del mazzo, le «atouts» del gioco. Il suo numero la rende superiore soltanto al Bagatto, il numero 1, un ragazzo disarmato che deve sfuggire a tutte le trappole della partita. Il bagatto però è una carta ambitissima: il giocatore che riesce a difenderlo o, con più gusto, a conquistarlo, si trova alla fine cinque punti, quanto valgono i re. La papessa non vale niente. Ma ha un suo nascosto primato, che ai giocatori sfugge. E' la più carica di storia. Come ricorda Boureau, la Giovanna, inesistente, della leggenda romana, trova un suo riscontro imprevisto, ma preciso, in un personaggio esistente, che il Rinascimento padano recupera dall'ultimo Medio Evo. Il gioco dei tarocchi nasce sulla metà del quindicesimo secolo alla corte di Ferrara, si diffonde rapidamente in terra lombarda; i primi mazzi vengono prodotti sotto il segno di matrimoni gentilizi, sono omaggi agli sposi, miniati da artisti di rango. Uno fra i più celebri oggi esistenti nel mondo è quello che Benedetto Bembo dipinse fra il 1451 e il 1452 per le nozze di Francesco Sforza, duca di Milano, con Bianca Maria Visconti. E in quel mazzo c'è la prima papessa di cui oggi possiamo ritrovare l'effigie: una donna dal profilo nordico, gli occhi azzurri, il viso avvolto in bianche bende monacali, il capo coperto da una triplice corona. Chi è? Non, sicuramente, la Giovanna romana, nonostante l'origine inglese che le attribuisce la favola. Una erudita americana, Gertrude Moakley, che ha condotto uno studio particolareggiato sui tarocchi del Bembo, lancia una ipotesi di identificazione. E' Manfreda di Pirovano, cugina di Matteo Visconti, vicario imperiale a Milano. Aderente alla setta degli Umiliati, fu una fra le prime discepole della boema Guglielma, venuta in Italia alla fine del Duecento e condannata per eresia. Guglielma e Manfreda diedero vita a una chiesa guidata dalla donna, contro la corruzione della chiesa romana, e ne assunsero, l'una dopo l'altra, il titolo di papa. Manfreda morì sul rogo, poco dopo il Trecento, ma la setta continuò a vivere, sotto la protezione ghibellina del Visconti. «E' quindi comprensibile che i Visconti-Sforza del XV secolo, sempre e risolutamente ostili alla politica papale, abbiano coltivato la memoria di Manfreda», scrive Boureau. Fino a trasformarla in carta. I giocatori di oggi non lo sanno, quando si trovano quel tarocco in mano, un po' contrariati per non avere avuto in sorte donne migliori, come la Forza, con il numero 11, o la Temperanza, con il 14. Ma la suggestione rimane, dopo cinquecento anni, trasposta dalla storia a un gioco di carte, con un'ombra di lontanissimo mistero, un perduto filo di sangue. Giorgio Calcagno

Luoghi citati: Ferrara, Italia, Milano