MAL DI CAPRI

MAL DI CAPRI MAL DI CAPRI Uisola «thriller» di La Capria tra bellezza, sole e memoria la sua missione, scandisce passi come pensieri, immagini come evidenze. E quando si ferma per ricapitolare e orientarsi, si scosta e lascia tutto lo spazio al grande antagonista, l'immagine della natura. «Per ritornare alla Marina Grande gli scopritori fanno una specie di circumnavigazione dell'isola... Finora non se n'è conosciuta nessuna riproduzione artistica, probabilmente perché le onde molto alte impediscono il disegno dal vero». Ma si susseguono i colpi di scena. «Si suicidò nel 1923, ingerendo una porzione di oppio più forte di quella che lui sapeva di poter sopportare...». E in un altro punto: «Per dare una idea della bassezza di questo intrigo niente vale meglio che citare qualche brano della lettera (anonima e non suffragata da prove) che il maestro Gamboni scrisse...». E ancora (molto più avanti): «Si sa benissimo chi è quella canaglia, si conoscono i nomi dei mandanti... e il nome dell'esecutore...». Ma l'isola resiste furiosamente a queste presenze, il paesaggio tiene testa con ► < w V * maestà e fermezza. Sentite: «Una specie di sortilegio precipita attraverso un corridoio sotterraneo dell'epoca di Tiberio, nella Grotta Azzurra, sulle cui volte innumerevoli occhi azzurri si aprivano intermittentemente. Altri occhi azzurri parimenti si stendevano intorno a me, ma così fitti questi e serrati, da costituire come un tappeto magico che dolcemente palpitava sul lento ondeggiare del mare pacificato...». Il lettore che ha letto e amato (impossibile non farlo) questo libro noterà che mi sono preso qualche libertà con le virgolette all'interno delle singole citazioni, che contengono a loro volta la citazione delle molte voci di testimoni che l'autore chiama a deporre in questa stupefacente inchiesta. L'ho fatto non solo per semplicità ma anche per assecondare la vera anima di questo libro, che è narrazione pura, letteratura al suo livello alto, e in cui in realtà una sola voce conduce il racconto e un solo personaggio, l'isola, gli tiene testa. Tengo a questa interpretazione, Capri come un nuovo genere di romanzo. Capoversi come questo: «La casa... non si vede ancora, nascosta com'è da un folto di alberi. Prima di arrivare a vederla bisogna percorrere un viale d'accesso e finalmente...», mi convincono a farlo senza timore di esasperare il senso del libro e di forzarne la presentazione a chi ancora non l'ha letto (e capirà che è inevitabile farlo). Perché a fronte dello splendore di luce, di mare, di roccia, di verde, c'è la non-vita, la vita che è andata via. Un poco come detrazione e consumazione della bellezza. Ma molto di più perché i «passaggi» di voci e persone attraverso il bianco delle immagini assolate smarginano sempre, alla fine, nel nero della non esistenza. E resta l'isola, testimonianza doppia, di vita e di morte, di un eccesso di bellezza e del suo prezzo. Ti lasciano stupiti certi ecologisti quando ti raccontano che tu non sei il centro, che il centro è altrove, in un punto della natura. Forse questo è il primo grande romanzo di un'epoca che si intravede appena. Furio Colombo