LO SPARUTO DI QUIGNARD di Giovanni Bogliolo

LO SPARTITO DI QUIGNARD LO SPARTITO DI QUIGNARD COME hanno intuito i. lettori de II salotto del Wùrttemberg e de Le scale di Chambord, Pascal Quignard non è uno dei tanti romanzieri di questo fine secolo che sanno legare ricordi ed emozioni con accattivante malizia e precoce abilità. E' un critico che predilige la poesia contemporanea e fa parte del mitico «Comitato di lettura» di Gallimard, uno studioso che spazia dall'antichità classica al mondo orientale, un musicista che si diletta di violoncello e dirige un festival di musica barocca; soprattutto è uno scrittore di infaticabile lena che, a poco più di quarant'anni, ha accumulato un'opera imponente fatta di saggi, di romanzi e di uno zibaldone di studi, racconti e traduzioni che si chiama Petits traités e che si avvicina ai venti volumi. Da questa miniera, per inaugurare una collana di narrativa e poesia, le Edizioni Guerini e Associati hanno tratto un piccolo gioiello, un recente trittico che in francese si chiamava La leqon de musique e che hanno intitolato, pare su suggerimento dello stesso autore, Il giovane macedone. Strana scelta, almeno in apparenza, perché dei tre aneddoti attorno a cui il libro è costruito, quello del giovane Aristotele che dalla Macedonia arriva al Pireo per andare alla scuola di Platone è il meno direttamente legato al tema della musica di cui appunto le tre ante del trittico sono altrettante variazioni. Un piccolo gioiello In esso si parla - e solo perché «quando salutò Platone per la prima volta, la voce del giovanissimo Aristotele era rauca e bassa» - della muta della voce che nei ragazzi segna il passaggio alla vita adulta e che i greci designavano con un verbo che significa «belare come un capro» e ha la stessa radice di tragedia, «il canto del capro». Il vero centro del libro sembra il secondo racconto, L'ultima lezione di musica di Tch'en Lien, in cui Quignard descrive il lungo, doloroso apprendistato di Po Ya, «il-piùgrande-musicista-del-mondo», alla scuola di un maestro che gli insegna a trovare den¬ tro di sé la musica che nessuno strumento saprebbe dare. Ma il terzo e più articolato episodio ci riporta al curioso fenomeno della muta della voce. Al trauma di questa metamorfosi - cacciata dall'Eden delle voci sopranili a cui sono condannati solo i maschi, «malattia sonora che solo la castrazione guarisce» - Quignard fa risalire il virtuosismo di Mann Mersenne: espulso dalla cantoria di Saint Germani l'Auxerrois quando il timbro della sua voce cominciò a intorbidirsi, non avrebbe tardato ad accorgersi che non sarebbe mai riuscito a padroneggiare la sua nuova voce sessuata e avrebbe da allora profuso tutte le sue energie di strumentista e di compositore per ottenere le stesse coloriture, gli stessi timbri con la viola da gamba. La famiglia dei violini Su questa congettura, esile forse ma suggestiva, lo scrittore ricama tutta una serie di modulazioni che hanno per oggetto la musica e il suo radicamento nell'anatomia e nella fisiologia umana: lo sviluppo delle cartilagini laringee e delle corde vocali è come «la preparazione dei budelli di una viola lontana», «la famiglia dei violini, come quella delle viole, è una famiglia di corpi umani scavati nel legno», un bambino di quattro anni «non conosce né l'intervallo di quinta né le concessive», tutta la sua vita futura si giocherà nel passaggio da un do acuto a un sol grave. Sono modulazioni aforistiche, di cui ci aveva dato qualche assaggio il protagonista de Il salotto del Wùrttemberg che, come i lettori ricorderanno, era un solista di viola da gamba. Ma là si era in un romanzo, mentre qui, in questo delizioso libretto sulla muta della voce che si articola in un'esposizione, uno sviluppo e una ripresa come una classica forma sonata, siamo molto vicini alla musica. E la musica, ce lo dice Quignard, è «narrativa svuotata». Giovanni Bogliolo Pascal Quignard Il giovane macedone Guerini e Assodati pp. 94, L. 18.000

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