SALVATI DAI POETI

SALVATI DAI POETI SALVATI DAI POETI Letteratura, politica e «Diversi» : parla Hans Mayer TfcURIGO UTTI gli danno anche vent'anni di meno. Ma Hans Mayer è proprio del 1907: ha compiuto 84 anni il 19 marzo scorso. Poche settimane fa ha pubblicato da Suhrkamp un volume di ricordi intitolato Ber Turm von Babel («La torre di Babele. Ricordo di una Repubblica Democratica Tedesca»). Sempre da Suhrkamp erano usciti pochi anni fa due altri volumi di ricordi [Ein Deutschér aufAbruf, «Un tedesco revocabile»), probabilmente la più bella e la più appassionante opera a carattere autobiografico della recente letteratura tedesca. Un intellettuale che r'jorda e racconta. Ebreo di f ilonia (e li dice: «A essere sinca'o da gio.uie non ho dovuto t,o.Trire per il fatto di essere ebreo in questa città, poiché Colonia è una città cattolica. E' una città quindi poco zelante e poco settaria. Anche se, in verità, questo è dovuto più alla pigrizia che alla tolleranza»), Hans Mayer è indubbiamente il più importante germanista e critico letterario tedesco vivente. Quando insegnava all'università di Lipsia anche Cesare Cases frequentò le sue lezioni. Socialista e ribelle, antinazista, dovette emigrare subito dopo l'avvento di Hitler per motivi politici, non per le origini ebraiche. Fece ricerche per l'Istituto di storia sociale di Horkheimer e per l'Istituto superiore di studi internazionali di Ginevra. Tornato in Germania nel dopoguerra ottenne nuovamente la nazionalità tedesca (a questo «tedesco revocabile» era stata tolta nel 1938). Fu caporedattore di Radio Francoforte, divenne docente all'Accademia del Lavoro, e, dal 1948 in poi, fu professore universitario: prima intellettuale controcorrente a Lipsia (allora Ddr), poi a Berlino Ovest, ad Hannover, negli Stati Uniti e, infine, a Tubinga, dove vive da anni, dopo aver abbandonato l'insegnamento. In italiano sono state tradotte alcune sue opere: Thomas Mann, Brecht e la tradizione, il fondamentale saggio sociologico-letterario dal titolo I diversi (sui pregiudizi nei confronti di donne, ebrei e omosessuali) e, proprio in questi giorni, sempre da Garzanti (pp. 125, L. 16.000): Letteratura vissuta, dove si parla di letteratura tedesca ma con il taglio di un'agile e densa «autobiografia intellettuale». Non vorrei iniziare una discussione sull'estetica, ma, in occasione dell'uscita di questo volumetto in Italia, le è possibile accennare anche brevemente al rapporto tra vita e letteratura? C'è ormai un dibattito interminabile tra, diciamo così, formalisti e realisti. Comunque: tutta la discussione staliniana sul realismo letterario, la proclamazione del realismo socialista, è una falsa questione. Sotto Stalin, però, la vera letteratura si è potuta imporre solo in opposizione alla cosiddetta «estetica socialista». Il problema vero è: cosa può la letteratura? E qui sono in grado di rispondere telegraficamente. Può persino conservare in vita una società ormai scomparsa. Le cito una battuta di Friedrich Hòlderlin: «Ma ciò che resta lo creano i poeti». La Russia del passato rivive per noi grazie a Cechov e ad altri scrittori. Un discorso analogo vale per Thomas Mann, Balzac, Stendhal. Lei vede una letteratura che ci porta messaggi da altre società, dalla storia, dal passato... Come studioso della letteratura non ho mai accettato la separazione dell'opera scritta dall'epoca storica. Quello che mi ha sempre interessato è il rapporto tra un grande pensatore o un grande scrittore con ciò che ha fatto nella vita e con il suo tempo. «La torre di Babele», appena uscito in Germania e non ancora tradotto, ha esaurito la prima edizione in pochi giorni... Probabilmente acquistato soprattutto dai cittadini dell'ex Ddr, per conoscere alcune verità che avevo da raccontare... Perché proprio quel titolo? Fu verso la fine del 1989 che mi trovai dove si stavano producendo proprio quegli avvenimenti che avrebbero portato alla caduta della Rdt. Proprio perché ero sempre rimasto in contatto con coloro che furono miei allievi, Christa Wolf, Christoph Hein o Volker Braun, e conoscevo le vessazioni e i divieti a cui venivano sottoposti. E poi perché tutti i miei sforzi di questi ultimi anni erano dedicati al voler preservare l'unità della letteratura di lingua tedesca. Non sopportavo che un partito si permettesse di dichiarare: poiché vi sono due Stati tedeschi vi sono anche due letterature tedesche che non hanno nulla in comune. Un tema importante, per me, quello dell'unità della letteratura tedesca. Ma il titolo? Ebbene, il mio tema era la Ddr, uno Stato che stava crollando, ma che era iniziato con grandi speranze. Erano stati molti a crederci, anche socialisti convinti, gente che voleva un'alternativa. E uscivano dalle macerie della Germania nazista. Dovevo descrivere e ricordare partendo dalla domanda: è stato tutto invano? E vengo al titolo. Io avevo conosciuto il poeta espressionista Johannes R. Becher, che nella Ddr era stato anche il primo ministro della Cultura... Di cui lei aveva curato un'antologia di liriche... Dopo la sua morte. E, proprio volendo rileggere la mia prefazione a questo volumetto, scoprii il vero significato (che allora mi era sfuggito) di una poesia intitolata «La torre di Babele», scritta probabilmente nel 1957, un anno prima della morte. Scoprii che Becher aveva descritto poeticamente e in modo profetico anche la fine della Ddr. La poesia inizia con le parole: «Questa è la torre di Babele, parla con mille lingue, e Caino ammazza Abele...», poi continua narrando delle paure dei costruttori, della verità che viene taciuta e dei cuori che si smarriscono. Per terminare con la terribile conclusione espressa in versi: «La parola diventa vocabolo, e risuona nel vuoto. La torre di Babele crollerà nel nulla». Chi sarebbero Caino e Abele? Becher dice: «Caino ammazza Abele e viene celebrato come Dio». Il tema non è biblico: Caino è Stalin che uccide non solo Trockij, ma anche altri «fratelli», come Bucharin, e tutti gli amici di Becher. Un Caino che viene celebrato come Dio non è riducibile al «culto della personalità» denunciato dai successori di Stalin. Così, come la poesia di Becher non è una poesia solo sulla Ddr, il mio è un libro sul crollo di tutto il blocco orientale. Un libro che si è scritto da solo. Veniamo ai «Diversi», il suo libro più noto, grazie alle numerose traduzioni, sette se non sbaglio. Ricordo un dibattito a Roma presso l'Istituto Goethe su questo libro. C'erano anche Moravia e Dacia Maraini. Fu un dibattito molto vivace e affollato diretto da Paolo Chiarini. Ho raccontato spesso l'origine di questo libro. Io volevo scrivere un saggio di storia della letteratura, una storia degli «archetipi» dei «diversi» nella storia della letteratura, partendo dai Greci. Ma ben presto dovetti separare due tipi di «diversi»: quelli «intenzionali», come Faust o Amleto, o anche Don Giovanni intenzionali perché si escludono volontariamente dal loro am- biente. Questi diversi volontari avevano fatto una scelta... E perché le donne? Lei ha messo tra i «diversi» non solo gli ebrei e gli omosessuali, ma anche le donne... Ho trattato di coloro che hanno sofferto e soffrono per essere «diversi», ma che non avevano alcuna intenzione di essere diversi: le donne per il loro sesso, gli omosessuali per la loro deviazione sociale e gli ebrei per la loro origine e per la diaspora. Per le donne ho cercato di mostrare come, nella nostra società, il limite di fatto è il punto di vista maschile. E le donne che vogliono oltrepassarlo sono «diverse»: Salomé, Carmen, la Lulù di Wedekind, 0 Giovanna d'Arco. Se non tutte le donne sono «diverse», lo sono quelle che caparbiamente vogliono difendere la propria identità. Quindi questo libro non è diventato «solo» un libro di storia della letteratura. E per concludere sul futuro della letteratura? Non posso essere ottimista. Proprio perché non dobbiamo illuderci. I millenni della letteratura e dello scrivere che trova i suoi lettori sono finiti. Questa è l'epoca di una svolta nella storia della letteratura: a causa dei computer, della televisione, dell'informatica e dei mass media. Attraverso tutto ciò va perso il legame con la letteratura e la tradizione. E non perché i giovani non imparino più nulla, o non imparino a leggere. Semplicemente perché imparano altre cose. Claudio Pozzoli Filippo De Pisis «Nudo sul letto»