DA BAGHDAD AL DESERTO TUTTA LA GUERRA IN LIBRERIA

DA BAGHDAD AL DESERTO TUTTA LA GUERRA IN LIBRERIA DA BAGHDAD AL DESERTO TUTTA LA GUERRA IN LIBRERIA gliosa prefazione di Livio Caputo fanno seguito gli scritti di Guido Olimpio, Enrico Negretti, Rodolfo Brancoli, Guido Santevecchi, Gianni Riotta, Giuseppe Josca, Gianluca Di Feo, Bruno lucci, Franco Foresta Martin. Tutti gli aspetti della guerra, dal militare all'ecologico, dalla cronaca alla riflessione, sono in bella mostra in questo libro ch'è una summa di buon giornalismo. Non ce ne vogliano gli eccellenti colleghi se segnaleremo solamente lo scritto di Giuseppe Josca, uno che il Medio Oriente lo conosce sul serio per averlo girato e studiato durante lunghi anni duri, e lo scritto di Riotta, un raffinato inside America: «è bizzarro che il Paese capace di organizzare Tempesta nel deserto non riesca a rendere Central Park sicuro la notte». Andiamo avanti con Le guerre del Golfo e le ragioni della non violenza, di Giovanni Salio (Edizioni Gruppo Abele, pp. 136, L. 18.000), introduzione di Johan Galtung. Un libro candido, lacerante, che ammonisce come il ponte tra l'oggi e il domani, tra ciò che possiamo fare ora e ciò che dobbiamo fare in vista di risultati futuri, sia «l'azione di riconciliazione». Ancora due libri Rizzoli: 1) Nell'inferno del Golfo (pp. 141, L. 24.000) di Giuseppe Turani che ci spiega «perché ci siamo andati e che cosa succederà dopo» nell'ottica della sua ben nota cultura economico-finanziaria («comincia l'ora della complessità, e per la prima volta il capitalismo è solo. Deve decidere cosa fare da grande»). 2) Armi intelligenti (pp. 156, L. 25.000) di Giovanni Caprera, un giornalista che sa tutto dell'aerospaziale e che seziona e spiega la prima guerra tecnologica della Storia. Last but not least Bagdad di Fabrizio del Noce, stampato da Nuova Eri in collaborazione con Mondadori (pp. 235, L. 28.000). Il popolare e attento teleinviato del Tgl è l'unico giornalista italiano (insieme con il bravissimo Stefano Chiarini del manifesto) rimasto a Baghdad, unitamente con l'operatore Stampacchia e il montatore Valzania. Una Ubera scelta professionale, la loro, avallata coraggiosamente da Bruno Vespa, direttore del Tgl. Fabrizio ha visto tutto il diluvio universale di bombe, intelligenti e no, abbattutosi su Baghdad ma non ha potuto fare una sola telecronaca e non già per colpa sua ma perché non era possibile. Lo conosco (come professionista) forse bene avendolo incon- Im guerra del Golfo ha confermato l'intuizione di Camus: il giornalista è lo storia) dell'istante trato più volte quando muoveva i primi passi in quel mistero avvolto in un enigma ch'è il Medio Oriente per immaginare quanto gli sia costato non poter trasmettere. Ma Fabrizio è piemontese, sa cos'è la pazienza, ha imparato ad andare in giro ad occhi aperti sicché s'è messo al computer e ha scritto il libro della sua frustrazione televisiva facendolo diventare un racconto interessante. Degno figlio di suo padre, il grande filosofo Augusto del Noce, Fabrizio ha il gusto della citazione dotta, la civetteria, tutta torinese, della riflessione ironica (e tagliente). Ma tutto ciò non basta a fare un buon libro di cronaca e infatti il suo non è un libro di cronaca: parte sì dal «fatto» (la notte del primo bombardamento su Baghdad) ma s'avventura non senza coraggio nel raccontare il Medio Oriente filtrato attraverso le sue esperienze. Evitato per un pelo il peccato di presunzione che avrebbe spinto altri a «spiegare» quando soltanto per capire (il Medio Oriente) non basta una vita, Fabrizio del Noce ci offre pagine svelte ma serie, accattivanti, dove il «ritratto» del personaggio si alterna al bozzetto narrativo, e l'analisi alla malignità intellettuale. Il tutto, va detto, con molta eleganza.