LO SCACCO DI ZWEIG di Luigi Forte

LO SCACCO DI ZWEIG LO SCACCO DI ZWEIG Novelle dalla Vienna di ieri CAVALLI, alfieri, pedoni e, troneggianti su di essi, re e regine: si fronteggiano, sfiorano, mangiano. Sullo spazio circoscritto e quadrettato della scacchiera due sparuti eserciti saltabeccano per ingannare il tempo. Dietro, su fronti avversi, i due registi della battaglia: l'avvocato B., dilettante geniale e irrequieto, e il campione mondiale della specialità, il giovane slavo Czentovich. La partita è forse, per questa stessa presenza, qualcosa di più di un semplice passatempo. Singolare è anche i luogo in cui si svolge: un piroscafo in viaggio verso le Americhe. L'attenzione di molti passeggeri che hanno scommesso sull'avvocato è al culmine; non c'è rullio o beccheggio che possa turbarla. Ma anche quella del lettore non conosce cedimenti: è ormai ipnotizzato da questa splendida prosa dello scrittore viennese Stefan Zweig (1881-1942), la Novella degli scacchi, pubblicata di recente dall'editore Garzanti (versione di Simona Martini Vegezzi con una bella nota introduttiva di Daniele del Giudice, pp. 107, L. 14.000). Ce la farà l'avvocato? In qualche modo tutto dipende dalla posta in gioco. E se questa fosse l'inquietante versione, di sapore metafisico, di una sfida per la vita oppure la battaglia di-; sperata.,h , .contro un'intelligenza di tipo nuovo, fredda, inesorabile, avversa ad ogni nostalgia umanistica? Ma il dottor B. lo ha illustrato lui stesso al narratore della novella - è abituato a ben altre prove. Per esempio, a vegetare in totale isolamento per mesi e mesi alla mercé della Gestapo, senz'altra compagnia che un tavolo e un letto. Non un libro né una voce umana, tranne quella dell'aguzzino che di tanto in tanto lo interroga. Come non impazzire evitando di naufragare nei propri pensieri? B. ha la fortuna di rubare dal cappotto di una SS un libricino, una minuscola ancora di salvezza per la sua mente. E' un manunle di scacchi, che illustra le partite più famose oltreché la tecnica del gioco in ogni dettaglio. Così per tenersi occupato anch'egli inizia a giocare, dapprima sul disegno a quadretti del lenzuolo con pezzi ricavati dalla mollica di pane, poi solo mentalmente: ripercorre con la memoria sfide storiche e inventa lui stesso partite. Il gioco sfuma in vertiginose astrattezze e il giocatore arriva, in una smania ormai inarrestabile, a scindersi in due. La mente, che cerca un rimedio contro il proprio isolamento, raggiunge i confini della dissociazione, tocca i margini della follia. Gli avversari si fronteggiano in una sola persona: il nemico non e solo fuori, all'esterno, tra i segregatori nazisti, ma nel rimedio stesso che egli ha perso di vista esasperando la propria strategia. Ma ne esiste ancora una, in quegli anni di guerra, per l'austriaco Zweig, umanista ostinato, ebreo giramondo e cosmopolita? Dentro la Novella degli scacchi c'è anche lui, la sua disperazione e l'incapacità di rintuzzare il Male che dilaga. Così come anch'egli sosta su una nave che solca l'oceano. A più riprese è stato in Argentina, Brasile, Stati Uniti per conferenze e incontri. Ora, nel 1940, dopo aver trascorso sei anni a Londra, si imbarca con la seconda, giovane moglie Lotte per l'ultima volta. Si sta¬ bilisce a Petropolis, un piccolo centro vicino a Rio de Janeiro, e qui scrive la Novella degli scacchi, legge Montaigne e termina la sua fortunata autobiografia Il mondo di ieri (reperibile nella storica versione di Lavinia Mazzucchetti negli Oscar Mondadori). Dietro di sé ha un passato di agiatezza e grandi successi editoriali (negli Anni Venti fu uno degli autori di lingua tedesca più letti e amati, con vendite da capogiro), davanti solo ombre ed incertezze. Per questo uomo di lettere ormai stravolto dalla barbarie dell'epoca, difensore sentimentale e retorico di un passato mitteleuropeo che la sua autobiografia rievoca con affetto, resta fra le pieghe del presente solo il peso di un'assoluta stanchezza esistenziale. In esilio, senza libri e pubblico, senza le sue reliquie, dai mobili antichi alle pergamene ingial¬ lite con gli autografi di celebri artisti, Zweig sguscia fuori dal proprio tempo per un definitivo salto nel buio: si avvelena con la moglie nel febbraio del 1942. Amava citare Stendhal: «Quanto più uno vive per il suo tempo, tanto più muore con esso. Quanto più uno salva della propria natura, tanto più rimane di lui per l'avvenire». Forse proprio la sua caparbia difesa di un'integrità ormai storicamente dilaniata, il suo arroccarsi nel museo del passato, l'incapacità di sottrarsi al mito della sicurezza in un mondo di totale incertezza e precarietà, lo ha reso più vulnerabile. Ma lo scrittore Zweig si rivela nei suoi momenti più alti quando di ciò diventa consapevole. Dietro il delirio del dottor B. destinato a soccombere, dopo un primo entusiasmante attacco, di fronte alla fredda professionalità dell'avversario, si cela il disorientamento del suo autore. Senza una bussola nel mondo moderno, egli non sa distinguere le strategie del nemico così come il dottor B. misconosco l'uomo nuovo, alieno ad ogni nostalgia, nella rozzezza e univocità di Czentovich, percependo, come rileva a ragione Del Giudice, solo la partita. L'uomo che aveva trionfato sul nemico nazista senza soccombere trova la fine in se stesso, nell'incompatibilità con un presente che ha distrutto ogni tradizione. Il grande epigono Zweig non ha granché da spartire con un Kraus, un Hofmannsthal, un Broch o un Musil. Per quest'ultimo egli fu, anzi, un «simbolo mostruoso del nostro tempo», uno sfruttatore dell'emigrazione. Certo Zweig non aveva né il respiro epico-costruttivo del collega Musil né la sua tagliente ironia. Nelle sue pagine il mondo s'affaccia sul senso di sicurezza dell'Impero, sulla saldezza del passato in cui tutto «aveva una sua norma, un peso ed una misura precisi». Così questo narratore dalla scrittura accattivante e sciolta, autore anche di drammi e celebri monografie (su Erasmo, Maria Antonietta, Maria Stuarda, Romain Rolland) e di grandi cicli biografici ordinati per tre (per es. Balzac-Dickens-Do;y.. stoevskij), continuava a scrivere come se satira e disincanto, dissacrazione e ironia non avessero intaccato i bei sentimenti del tempo andato. Ma Stefan Zweig fu soprattutto un maestro della novella e il divulgatore, qua e là con toni lirico-intimistici, del freudismo in letteratura. Gli manca non di rado l'impietosa radicalità di uno Schnitzler. In lui, ancora una volta, tutto puzza di nostalgia. E tuttavia -alcune delle novelle della raccolta Sovvertimento dei sensi (1925), come la splendida 24 ore nella vita di una donna (presentata ora da SugarCo nella traduzione di Luisa Coeta, pp. 124, L. 14.000), meritano di figurare in un'antologia del Novecento. Qui Zweig intesse intorno al tema della passione autodistruttiva per il gioco una serie di febbrili variazioni con un ritmo e una tensione di intensa drammaticità. L'incontro di un uomo e una donna al casinò di Montecarlo in un clima da Belle Epoque scatena pulsioni esacerbate in un costante scontro di amore e morte. Raramente lo sguardo Ai Zweig scende con tale disinvoltura e precisione nel mondo istintuale. La donna che tenta di salvare il giovane compagno dall'ubriacatura del gioco scopre in sé medesima un nuovo desiderio di vita, destinato a infrangersi contro un destino irrazionale e bizzoso come la pallina della roulette. E' una grande messinscena dell'inconscio, pur tra orpelli romantici e una struttura narrativa fondamentalmente tradizionale. Del resto la tradizione, in ogni sua forma, resta il tema di Zweig. E mai come nelle sue piacevoli Leggende (Edizioni Studio Tesi, trad. di Nada Carli, introd. di Marino Freschi, pp. 174, L. 25.000), lo scrittore absburgico ci fa sentire con bibliche cadenze il suo rifiuto del presente. Mentre supera le contraddizioni dell'Impero austro-ungarico in una formula di umanistico cosmopolitismo, egli ricorda attraverso il mito dell'ebraismo (si veda il bel racconto sulla menorah, il candelabro dai sette bracci) che presente e modernità sono contrassegnati dall'esilio. La storia del candelabro nascosto accenna ad un mistero tutto da risolvere, a quel legame con l'Invisibile, che è speranza e drammatico destino. Ma a lungo andare - e il cenno di Zweig vale per ogni tempo lo spirito forse è più forte della violenza. Luigi Forte ;y..

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