NEL SOGNO DI CALDERON di Angela Bianchini

NEL SOGNO DI CALDERON NEL SOGNO DI CALDERON Tutto il teatro letto da Samonà CHI apra il secondo volume del Teatro del Siglo de Oro dedicato a Calderón de la Barca (a cura di Mario Socrate, Maria Grazia Profeti, Carmelo Samonà, traduzioni in versi con testo a fronte, prefazione di Carmelo Samonà, pp. LVI1-983 che pubblica Garzanti, L. 80.000) ha l'impressione di trovarsi in un luogo già noto. E' quella «città sterminata ed inafferrabile» che, al di là del «ritmo ordinato, delle figure policrome» rivela nelle «architetture compatte e solidali tra loro», «il rischio inquietante dell'allusività, il giuoco esasperato delle apparenze e degli inganni. Le sorprese del mascheramento»: insomma, la metafora del Teatro spagnolo del Siglo de Oro, posta all'inizio della prefazione di Samonà al primo volume dedicato a Lope de Vega, e qui riproposta. Giustamente riproposta, non soltanto perché apparve già esemplare un anno fa, quando la leggemmo per la prima volta, ma perché le allusioni all'enigma della fascinosa città metaforica, eppure curiosamente reale, sembrano affinarsi anche di più nel rapporto con Calderón che Samonà definiva come «la forma per eccellenza manieristica e spettacolare di un teatro che ripensa ormai se stesso» con ulteriore approfondimento di apparato concettuale e diversificazione linguistica. Questo secondo volume di Garzanti fa parte dell'opera postuma di Samonà, scomparso il 17 marzo 1990, ed è affiancato da altri due libri: innanzitutto, il romanzo Casa Landau a cui Samonà aveva lavorato fino all'ultimo, manifestando perciò la volontà che fosse pubblicato ancorché incompiuto. Poi, Ippogrìfo violento (Cannelo Samonà, Ippogrìfo violento, studi su Calderón, Lope e Triso, prefazione di Mario SocraH, Garzanti, pp. 264, L. 25.000) il primo volume della saggistica che Samonà attendeva a riordinare e che deve oggi essere visto quale integrazione vera e propria dei due volumi sul Teatro del Siglo de Oro. Il titolo stesso, Ippogrìfo violento, l'incipit del più celebre tra i drammi di Calderón, La vita è sogno, così come il titolo del saggio più importante, del 1967, Saggio di un commento a La Vida es sueno, indicano, nella concezione di Samonà, almeno due motivi: La vita è sogno culmine artistico dell'evoluzione artistica di Calderón (e Calderón de La Barca e l'Apogeo della Commedia appare di nuovo come titolo nello studio contenuto nel volume del Teatro) e tutto il «corpus» teatrale di Calderón visto come processo innovativo che, attraverso un'acuta sensibilità specialmente linguistica, modifica l'impianto della commedia così com'era stata creata e lasciata da Lope de Vega. E questo perché, nell'evoluzione del Siglo de Oro, Calderón, bachiller a vent'anni. nel 1620, in Diritto Canonico, drammaturgo di corte a trentacinque, cappellano d'onore dal 1663, in un'epoca culturale irripetibile e sognata tuttavia da crisi sociali e da malesseri di vari tipi, controllata da una monarchia che è la chiave di volta di tutto il sistema politico e sociale, avalla teatralmente quello che la moralità ha ristabilito. Il Calderón di Samonà appare innovatore in quanto elabora, in quanto suggella quello che, al culmine della decadenza spagnola, prima sotto Filippo IV poi sotto Carlo II, desiderano sia la monarchia sia la religione: e questo grazie alla massima convergenza tra istituzionalità sociale e arte. Se abbiamo dunque, all'inizio, almeno, una riproposta degli stessi valori lopiani, con processi innovativi centrati soprattutto sulla sensibilità linguistica, c'è però anche quasi subito, un muoversi ineluttabile e inarrestabile, anche fisico degli spettacoli esterni, ancora popolari, a quelli del palazzo della Corte. Dai corrales alle commedie palaciegas, la meta è lo spazio chiuso a cui fa riscontro la complessità delle trame concettuali. Perfino nelle commedie di intrigo, de «enredo», i modi dell'infingimento alla fine modificano il genere e il significato stesso dell'«enredo» (è citata, a questo proposito, la famosa casa con due porte) per approdare a una visione ambigua e illusionistica del mondo. Perfino nei drammi dell'onore della «honra», così importanti nella creatività lopiana, l'ambiguità di Calderón si rivela nel confondere l'implacabile strategia della vendetta», imposta dalla moralità dell'epoca col divampare di passioni, anche se in realtà più che la passione, conta la volontà di guardare dentro alle «sofferenze», di «inquisire». C'è da chiedersi se nasca da qui l'alterna fortuna a cui è stato soggetto il teatro di Calderón, ora esaltato, ora vilipeso e dimenticato. O se non nasca piuttosto, come lascia intendere Samonà, da una sorta di ammicco (anche più ambiguo, quando si pensi alle ferree leggi dell'epo- ca) diretto allo spettatore secentesco, e che può venire ora dalla maniaca tutela della fedeltà coniugale ora dal momentaneo cedere dell'eroina alla passione. E' una domanda che viene fatto di farsi anche a proposito della Vita è sogno studiata da Samonà come dramma e come .Auto sacramentai omonimo, in Ippogrìfo violento, e poi commentata nell'Introduzione generale al Teatro. La lettura di Samonà, più che stilistica, è ancorata nella poetica di Ramon Jakobson, e nella natura metalinguistica del messaggio: centrata perciò sui primi cento versi del dramma, e cioè sul monologo di Rosaura. Sbalzata da cavallo, essa compare in abiti maschili, in un paesaggio di rocce impervie che è descritto come un «confuso labirinto». Partendo da questo, e da altri simboli che formano un microcosmo, Samonà attraverso una scelta molto sottile di simboli di tradizioni diverse, va a puntare al cuore stesso del dramma, giustapponendo il monologo di Rosaura a quello di Sigismondo, per trarre dall'esame strettissimo della griglia metaforica, non solo il significato dei loro mutui e complessi rapporti, ma il significato stesso del dramma. Da qui, l'esempio non solo di una perfetta macchina teatrale perché composta da riferimenti culturali trasformati in risorse di alta abilità tecnica, ma anche l'immissione in quei rovelli interiori che rappresentano la grande straordinaria novità della Vita è sogno. Se difetto c'è, in questa macchina linguistica messa su per svelare una macchina teatrale, è forse l'eccessiva chiusura che lasciava poco a quello che ancora oggi è la varietà di scorci e di luci perpetuamente cangiante. E, a questo proposito, è bene non tralasciare i suggerimenti offerti da Dario Puccini, impeccabile traduttore de La vita è sogno che, sottolineando vita quale sogno, e mondo uguale teatro, come le due grandi antitesi calderoniane, amplia la prospettiva di questa straordinaria favola del potere e della volontà. Il pittore del suo disonore, tradotto e introdotto da Cesare Acutis, anch'egli, come Samonà, scomparso prematuramente, Il giudice di Zalamea, con la versione e introduzione le anche di qui, note) di Giovanni Caravaggi, e L'auto sacramentai. Il gran teatro del mondo, a cura di Francesco Tentori Montalto, sono gli altri grandi pilastri su cui posa questa bella selezione calderoniana. Servono a comporre la figura ambigua, conformista e trasgressiva insieme del drammaturgo, quale ce la dipinge Samonà, ma possono anche essere letti separatamente, ricollegati a altre versioni e altri ricordi, offrendo, sotto angolazioni diverse, ma in forma quasi ossessiva, il grande tema dell'epoca barocca: quello della dignità dell'uomo, durante un transito mortale che ó soltanto preparazione a una vita più vera. Angela Bianchini (Aw sopra ima rappresentazioni' di «La llidalsst 1 fianco, Calderón de La Barca. Sotto, due scene di commedie dell'autore spagnolo