BATAILLE SALI' IN CATTEDRA LA SOCIETÀ E' SACRA

BATAILLE SALI' IN CATTEDRA: LA SOCIETA' E' SACRA BATAILLE SALI' IN CATTEDRA: LA SOCIETA' E' SACRA I surrealisti al Collège de France negli Anni '30 TRA il 1937 e il 1939, «anni critici per l'Europa», un piccolo gruppo di intellettuali parigini prese a riunirsi due volte al mese in una libreria del Quartiere Latino per discutere di sociologia. Il gruppo aveva deciso di chiamarsi «Collegio di Sociologia» e la dichiarazione relativa alla sua fondazione, pubblicata sulla rivista «Acéphale» nel luglio 1937, potrebbe venir sottoscritta anche oggi da qualsiasi associazione di sociologi, nonché da chiunque sia convinto che lo studio della società è inseparabile da una formazione a tutto sesto dell'intelletto. In verità la maggior parte di coloro che si avvicendarono nel tenere relazioni al Collegio erano letterati vicini al surrealismo, a cominciare dal suo principale animatore, Georges Bataille; soltanto il più giovane, Roger Caillois, aveva una specifica preparazione sociologica. E dalle battaglie artistiche e letterarie dell'epoca discendevano per rami diretti gli impulsi, gli argomenti, lo stile del dire e dello scrivere di quasi tutti i relatori, da Pierre Klossowski a Michel Leiris, da Jean Paulhan direttore della iper-letteraria «Nouvelle Revue Frangaise» - a Jean Wahl. Eppure con v'è dubbio che i temi delle relazioni te¬ nute al Collegio fossero di grande rilevanza per una scienza della società che voglia confrontarsi con le sfide culturali e politiche del suo tempo, e che tale rilevanza conservino tuttora. L'oggetto preciso dell'attività del Collegio, di cui sono ora stati riuniti gran parte dei testi insieme a nutriti materiali di contorno, grazie alla perizia del francesista Denis Hollier, era nientemeno che una sociologia sacra. Essa veniva definita, nella dichiarazione fondativa, come «lo studio dell'esistenza sociale in tutte quelle sue manifestazioni in cui si delinea la presenza attiva del sacro». Una nuova sociologia della religione, dunque? Non affatto. Sacro, per il Collegio, era qualunque processo psichico, sociale o culturale che costituisca un legame tra gli uomini, ossia provochi tra le persone, prese nella loro integrità antecedente qualsiasi funzione sociale che l'individuo svolga, una qualche forma di fusione affettiva in una entità comune. I membri del Collegio di Sociologia si appoggiavano qui a tre pilastri della cultura dell'epoca: uno già ampiamente sfruttato dal surrealismo, Sigmund Freud - soprattutto, nel caso del Collegio, il Freud sociologizzante di Psicologia delle masse e analisi dell'io - gli altri due tratti dal Gotha delle scienze sociali francesi, Marcel Mauss ed Emile Durkheim. Da Mauss essi riprendevano il concetto di «fatto sociale totale», il quale porta a vedere anche nei processi sociali più comuni, come il dono, o lo scambio, dei fenomeni al tempo stesso giuridici, economici, religiosi, morfologici, perfino estetici. Concetto che i membri del Collegio provvidero a ribaltare in una critica impietosa della atomizzazione dell'uomo operata dalle democrazie del tempo, ch'essi accusavano di trasformare l'individuo in un essere anchilosamente specializzato nello svolgere una limitata funzione politica, tecnico-scientifica, o artistica, con ciò riducendolo a nulla più d'un mero «funzionario». Da Durkheim, in specie dalle sue Forme elementari della vita religiosa, proveniva invece l'idea che il fondamento ultimo del legame sociale, in modo più avvertibile nelle società primitive ma ineludibile anche nelle società moderne, coinvolgesse strati così profondi della persona e del rapporto interpersonale da collocarsi al di là della soglia del comprensibile e della riflessione critica, acquisendo quei caratteri di misteriosità e intangibilità che definiscono, in ultimo, il senso del sacro. Così interpretato, il legame sociale possiede un'aura di religiosità che precede lo sviluppo di qualsiasi religione istituzionale, e sussiste anche quando questa scompaia. Il luogo in cui l'individuo ri¬ trova la propria totalità intellettuale e morale, avvertendo sin nelle fibre più intime un processo di fusione e alternanza polare tra Io e Altro, è la comunità. Non la comunità di fatto, fondata su affinità tradizionali di lingua e di storia, di cultura e di territorio - come il villaggio, il comune, o la nazione - sulla cui importanza per lo sviluppo e l'equilibrio dell'individuo era ritornato innumeri volte il pensiero sociale del primo Novecento, e di cui il sociologo tedesco Ferdinand Toennies aveva teorizzato in un libro lettissimo - Comunità e società del 1887 - la contrapposizione con l'universalismo impersonale della società contemporanea. Bensì le comunità elettive, «che sono il risultato - come si legge in una relazione di Bataille e Caillois del novembre '37 - di una scelta operata dagli elementi che la compongono, e presentano un carattere di totalità». Istante concrete ne sono gli ordini religiosi, l'esercito, le confraternite, e in determinati casi le associazioni politiche: ad esempio, per alcuni - siamo alla fine degli Anni 30 - il partito comunista. Soltanto in esse l'uomo può ritrovare l'unità della sua esistenza dissociata. Avversari della democrazia reale nel nome d'un ideale utopico di democrazia, o nemici veri del processo democratico all'insegna di una concezione totalitaria della società? Produtto¬ ri di argomenti per il fascismo, o non piuttosto sensibili all'immagine prometeica dell'uomo nuovo comunista? Sulla posizione politica dei membri del Collegio di Sociologia s'è scritto di tutto, sin dal primo apparire della dichiarazione fondativa, e il contrario di tutto. Alcuni, come il nostro Carlo Ginzburg, non paiono avere dubbi. L'attenzione portata ai miti, ai rapporti tra la morte e il sacro, tra il sacro e il potere, il richiamo all'uomo totale, la sacralità delle comunità elettive, sono altrettanti elementi dell'attrezzatura culturale del fascismo, per quanto siano abbelliti da circonvoluzioni di pensiero e di stile. Da parte sua il curatore del volume sottolinea nell'introduzione la ricer¬ ca apparentemente volontaria dell'equivoco da parte degli autori del Collegio, inclini ad appropriarsi delle parole di quello che dicevano nemico, rovesciandone il senso per attaccarlo con le sue stesse armi, ma rischiando ad ogni passo di non distinguersi più da esso. Quel che si rischia di non vedere, se ci si sforza di collocare definitivamente il Collegio di Sociologia in una determinata nicchia politica, congelando così nella storia della cultura il senso dei suoi lavori, è che i processi psico-sociologi di cui esso discuteva erano non solo presenti ed efficaci nell'orientare l'azione degli uomini dei tempi loro, a destra come a sinistra dello spettro politico, ma lo sono tuttora. Gli esseri umani albergano al tempo stesso bisogno e orrore di sentirsi avvolti dall'abbraccio totalizzante d'una comunità elettiva, e molta dinamica politica si spiega per il fatto che alcuni gruppi ne provano orrore proprio mentre altri ne provano il bisogno. Non ci si può illudere che tale dialettica, per il mero fatto di essere invisa al razionalismo laico, si sia conclusa. Luciano Gallino George Bataille, Roger Caillois Il Collegio di Sociologia Bollati-Boringhieri pp. 554, L. 70.000

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