SALONE CHE RIDE

SALONE CHE RIDE SALONE CHE RIDE Torino: dal 16 maggio protagonista l'umorismo IMILANO L comico è gratuito. Ma è raro come l'ametista e il bene. Abita, qua e là, le pagine della biblioteca universale, magari concentrato in poche righe o addirittura nello spazio bianco che le separa (le righe). Al Salone del Libro di Torino - apertura 16 maggio molte di loro (righe) pioveranno in forma di bigliettini. «Frammenti pescati nella grande nuvola della letteratura» spiega Alessandro Baricco, ideatore della pioggia. Un repertorio di comicità da tramandare. Un catalogo - nell'era dei cataloghi e della riproducibilità tecnica - esploso in 40 mila foglietti che signorine distribuiranno ai visitatori: biglietti con un massimo di quattro righe per una risata o un istante di silenzio. «Sarà un rito approssimativo e intermittente per sperimentare i benefici del ridere, e accorgersi della sua rarità» dice ancora Baricco. Dunque: sarà un gioco pedagogico. A fin di bene (o male). Comunque il centro su cui ruoterà l'Esposizione. Ma è davvero un gioco in disuso, nella nostra penisola mediterannea di fine millennio, frequentare il comico? O non ha forse ragione il sommo poeta Freak Antoni: «Il comico è il tragico visto di spalle» e dunque abbonda? E cosa ne pensano loro, gli autori, di questa centralità periferica del comico fatto salire sul palcoscenico in nome della sua assenza? Le classifiche, nella loro chiacchiera numerica, ci dicono che il comico (alto o basso, per piattini o per zuppiere) c'è eccome: De Crescenzo con Elena, Elena amor mio, Gino e Michele con il loro fulmineo Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano, Benni con Badi, il maestro D'Orta, con il suo best seller Io speriamo che me la cavo. Ma le classifiche (santo cielo) sono la macedonia del gusto, fatte apposta per aprire e non per chiudere le discussioni. Così pure l'estemporaneità di due domande agli autori (italiani): «Oggi abbonda o scarseggia il comico?»; «Qual è il vostro personale catalogo di autori, amori, infatuazioni?». Vista dall'alto di una ricognizione, la truppa degli autori comici viaggia in ordine sparso. Bermi, il perfettamente furioso, l'autore lodato dai lettori e dai criticanti, il dispensatore di Terra!, Comici spaventati guerrieri, Il bar sotto il mare, dice che «l'Italia ignora il comico, perché il comico è una cosa seria». E di amore vero, più di tutti, ama solo Vonnegut. Michele Serra, il perfettamente abile, colui che di settimana in settimana confeziona le pagine verdi di Cuore, si sente assediato dal comico. E lo pesca: «E' nelle insegne dei negozi. Nelle pose degli italiani. Dentro alla televisione. Nelle tre parole più usate oggi: professionalità, esclusivo, prestigio». Considera Mark Twain un dispensatore di «solletico dell'anima», Philip Roth e Woody Alien la fonte del ridere e Luca Corderò di Montezemolo «un grande comico contemporaneo». Alessandro Bergonzoni, il perfettamente contrario, colui che fila sulle parole, monologa a teatro, sogna con le sue Le balene restino sedute, sbuffa e dice: «Non ne posso più del sarcasmo. Cerco risate. Bandiamo per sempre l'ironia. Non voglio punzecchiare, raccontare, irridere, ferire i vizi e le virtù degli italiani. Gli italiani non mi interessano. Mi interessano le persone. Mi interessa tirare sassi mentali non satirici, non costumici». Quel che vede intorno non gli piace:' «Smettiamo di avere bersagli, la comicità è nella testa, nel pensiero. C'è ancora chi fa battute sulla tv, la Milo, Sgarbi, Cossiga. Pazzia. Qualcuno si è mai sognato di prendere in giro Pantalone o Arlecchino? Non si può. Fatemi ridere senza parlarmi di nessuno. Mi interessa non che senso cavi dalle cose, ma che senso metti nelle cose». Tra il molto che ha letto, predilige le sceneggiature radiofoniche dei fratelli Marx, Woody Alien, Raymond Queneau, specie I fiori blu. All'opposto Antonio Ricci (autore di Striscia la notizia), che si au¬ tonomina «ironico, satirico, cattivo, vetero e complessivo», diffida. Di chi? «Di chi dice che questo o quello è morto. L'ironia, il romanzo, il varietà. Non è vero. Ci sono giorni, ci sono ore in cui la satira muore. 0 muore la torta in faccia. Ma poi rinasce e colpisce. Il comico è diabolico». Il suo autore è Rabelais («eccessivo, volgare, perfetto»), le sue nostalgie si chiamano Guareschi, Anton Germano Rossi, Bianciardi, Fusco, Campanile, persino Gandolin. Ah, vecchia Italia, tempo che fu. «Niente affatto disprezzabile - s'affretta a dire Gaio Fratini, epigrammista, animatore della rivista II Caffé, autore del recente II Caffè delle Furie (Rizzoli) -. Pensi a Maccari, a Novello, alla finissima satira di An¬ tonio Delfini». Sta preparando l'antologia della rivista (19551978) che uscirà a settembre per le edizioni Lubrina di Bergamo «Lì ci sarà di che far ridere il cervello. Altro che questi disegnatori analfabeti d'oggi. L'ironia s'è persa, e s'è persa la leggerezza di Folon. Prevale il volgare, il contingente, l'estemporaneo. Io dico sempre: leggete l'Antologia dell'umor nero di Breton. Rileggetela. Imparate. Studiate». Incerto sulla salute del comico anche Luca Goldoni, che scrive la biografia di Maria Luigia in uscita a settembre da Rizzoli. Dice: «Ridere è diventato una specie di sport nazionale. Satireggiare. Ironizzare. Per i miei gusti assomiglia troppo a una fuga. Come se contro il potere non ci rima- nesse altro che una risata cattiva. Divertirsi è difficile. Salinger, con il suo Giovane Holden, oppure Dickens, questo è ridere. Il resto è sorridere. Talvolta». «Ma chi lo dice che il comico declina?» si chiede Leila Costa, interprete e autrice dei suoi monologhi. Ultimo: Mal sottile mezzogaudio che («forse, dipende da me, chissà») diventerà libro. «Mi guardo intorno e vedo Benni, bravissimo, Bergonzoni, bravissimo. Riondino pure, se mai la smettesse di divagare. Per bravi intendo: quelli che sanno unire umorismo, ironia, e tenerezza intemazionale, come la chiama Paolo Conte». E cita: Le regole della casa del sidro di John Irving, Fratelli d'Italia di Arbasino, e poi Calvino, André Kamin- ski, Jane Austen. Gino e Michele, in cima alle loro 540 battute raccolte in Anche le formiche... , la prendono lenta: la comicità in Italia è stata rubricata in serie b. Cinema, letteratura, teatro. Tutta quanta. Errore madornale. E infatti il tempo, che cancella le sciocchezze e restituisce quel che vale, ha cominciato a rimediare. Per esempio con Totò, con Guareschi, con l'inarrivabile Fantozzi di Paolo Villaggio». E secondo loro, il tempo, (ci) restituirà un autore dimenticato come lo scomparso Beppe Viola, milanese, telecronista sportivo di mestiere, narratore di storie di margine milanesi, autore di una introvabile Vite vere compresa la mia. Ultimo viene Ugo Gregoretti, osservatore incuriosito e (per sua ammissione) «lettore umorizzante di cose serie o anche serissime». Quel che ha fatto in tv rileggendo Dickens, Salgari o i romanzi popolari dell'Ottocento italiano, lo fa per conto suo, nella vita. Dice: «In effetti l'Italia mi sembra poco predisposta a trovare il lato comico delle cose. Che non manca mai». Eppure, dice, servirebbe perché il comico, illumina. «L'umorismo rende abitabile la vita, mi ha scritto una volta Magris. Dovrebbe essere insegnato nelle scuole insieme con l'educazione civica. Pensi a quante liti stradali ci risparmieremmo». Di quel che passa l'Italia, specie in cinema e teatro, Gregoretti non si duole: «Giovani autori teatrali come Umberto Marino, Bigagli o Manfridi hanno un ottimo senso dell'umorismo. E al cinema c'è Nanni Moretti che considero il più grande comico italiano». Ma il suo contravveleno notturno viene dall'inizio secolo francese e si chiama Jules Renard: «Leggo una paginetta del suo Journal ogni sera. Poi dormo sereno. L'ultima sua notazione dice: i gatti sono l'anima dei mobili». Tutti ci trovano tutto nel comico, persino l'anima. Non declina. Ha i secoli a disposizione, secca e rinasce. Il comico è una margherita. Pino Corrias SALONE CHE RIDETorino: dal 16 maggio protagonista l'umorismo

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