SIAMO CANNIBALI

SIAMO CANNIBALI SIAMO CANNIBALI Saggi e film portano alla ribalta un argomento tabù HANNIBAL Leder, «Hannibal the Cannibal», lo psichiatra antropofago dei romanzi di Thomas Harris (l'ultimo, Il silenzio degli innocenti è ora sugli schermi per la regia di Jonathan Demme), viene sempre rispettosamente chiamato dagli altri personaggi «dottor Lecter». Murato nella cella di un manicomio criminale è uno che la sa lunga. Anthony Hopkins, l'ottimo attore che lo interpreta nel film, gli dà un ironico sorriso di compatimento che gela la volonterosa Jodie Foster, l'apprendista dell'Fbi incaricata di strappargli qualche notizia su una serie di efferati delitti che scuotono l'America. E' il sorriso di chi ha conosciuto, e vissuto in prima persona, gli abissi di quel nero pozzo che è l'uomo. Negli altri libri di Harris, scontroso ex cronista di «nera» che ha visto troppo, il sogghigno era una pena sorda, il dolore della cognizione; ma identica era la tensione tra il fardello dell'orrore e l'intuizione che esso ci appartiene. Il sospetto che il dottor Lecter sia un nostro parente stretto si affaccia nella civiltà occidentale con Erodoto, il primo a segnalare casi di antropofagia rituale, quel «delirio» religioso che più tardi non sfuggirà all'attenzione di Plinio il Vecchio. Di divinità antropofaghi pullulano i miti greci: Tantalo ammannisce agli dèi il corpo del proprio figlio Pelope, Atreo imbandisce al fratello Tieste la carne dei suoi figli. Una religione come il cristianesimo fonda la sua principale pratica di devozione sulla simbologia cannibalesca attestata nel Vangelo di Giovanni: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue sta in me e io sto in lui». Questo anelito di comunione totale, 'di impossessamento che eluda le offese del Tempo, è ben noto a chi ama, e può accadere che qualcuno lo metta in pratica, come lo studente giapponese che in anni recenti ha fatto a pezzi la fidanzata, l'ha riposta in frigo, e ha attuato una sua coerente eucarestia. «Ti mangerei di baci!» gridano i genitori estasiati ai figli infanti. Dal Messico dei Maya al Tibet e all'Africa, era diffusa la pia pratica di dare ai propri cari defunti una sepoltura nel proprio ventre calda e ben protetta, certamente migliore della fredda terra. A queste pratiche dotate di una forte carica simbolica e metaforica, corrisponde nel fiume sanguinario della Storia una casistica in cui prevale l'elementare regola biologica della cellula che mangia la cellula più debole 0 più piccola: il cannibalismo da vendetta, da pulsione sadica; o quello da necessità alimentare e da carestia, su cui costruiva i suoi paradossi provocatori lo Swift della Modesta proposta, consigliando il consumo di carni infantili per risolvere i problemi della fame. Il folclore tedesco tesaurizzato dai Grimm ci attesta echi di usi barbarici: la matrigna di Biancaneve che crede di mangiare i polmoni e il fegato della figliastra, Hànsel e Gretel che sfuggono per miracolo alla strega affamata, e si godranno la rivincita di infilarla tutta intera nel forno. Se le pratiche cannibalesche hanno un'estensione mondiale, dall'Africa all'Oceania e alle due Americhe, l'Europa non va esente da scoppi improvvisi, per di più privi di ogni spiegazione rituale o simbolica: i cuori arrostiti sui carboni nella notte di San Bartolomeo, le madri di Sancerre che divorano i figli, le vendite all'asta di carne umana nella città di Romans (1580). Pietro Colletta racconta gli eccessi anche cannibaleschi verificatisi a Napoli dopo l'entrata dei francesi nel 1799. A Berlino, negli Anni 20 del nostro secolo, un certo Grossmann salumiere preparava salsicce con la carne di ragazze di campagna attirate in casa come servette. Nel Lager di Belsen 1 prigionieri, deliberatamente privati di cibo arrivarono a sbranarsi tra loro. Se il cannibalismo in età moderna è sempre stato vissuto come una macchia, una regressione verso età ferine, il fiorire delle ricerche antropologiche nel secolo scorso ha caricato le nostre rimozioni di qualche problema in più. Come ricorda Ewald Volhard, l'etnologo tedesco allievo di Froebenius autore del libro sul cannibalismo pubblicato nel 1949 da Pavese e De Martino nella «collana viola» di Einaudi, e ora riproposto da Bollati Boringhieri, una ricognizione sistematica dell'antropofagia porta a riconoscere che essa si sviluppa in culture niente affatto primitive, ma in qualche modo elaborate; non solo, arriva alla conclusione che è impossibile «tradurre adeguatamente le azioni cultuali in linguaggio razionale». Quel che si può intravedere nell'abbondante casistica raccolta dà Volhard sono certi riti di fertilità legati all'agricoltura, attraverso l'equazione pianta=uomo; e il grandioso, terribile tentativo di eludere la morte attraverso il perpetuarsi di una materia continuamente assimilata e rigenerata. Insomma, il tentativo di liberare l'io immettendolo nell'oceano della grande energia fondamentale, nella totalità dell'Essere. Si può bene immaginare come ipotesi di questo tipo fossero accolte nel 1949 con indignazione e scandalo, ma il problema resta. In una società come quella occidentale, avviata a ridurre la complessità della vicenda umana all'astrazione di una serie di dati numerici da affidare all'elaborazione di un computer, rimuovere il cannibale che è in noi significa negarsi alla comprensione di eventi che, in ogni angolo del mondo, smentiscono le proiezioni, le strategie, le pratiche politiche dei presunti esperti. Forse era difficile prevedere, alle soglie del Duemila, in pieno ((villaggio globale», il risorgere cruento dei separatismi etnici, con il connesso odio per i vicini «diversi», che è proprio l'anticamera di un «cannibalismo da vendetta» del vecchio tipo; ma forse bisognava tornare a rileggersi un'abbondante letteratura etnografica per avere almeno il sospetto che anche le società moderne continuano a comportarsi come le sparse tribù dell'Amazzonia e del Congo. Con la sola variante che magari a registrare i nuovi massacri tribali saranno le telecamere della Cnn. Che la metafora del cannibale continui ad agitare almeno l'inconscio collettivo si può dedurre anche della ricerca «microstorica» di Alain Corbin tradotta da Laterza. Nell'agosto 1870, mentre Napoleone III sta per essere sconfitto dalle armate prussiane, in un piccolo villaggio tra Dordogna e Perigoni un giovane nobile viene linciato e poi bruciato da una piccola folla di contadini. L'accusa, totalmente pretestuosa, è di avere inneggiato alla Repubblica, di parteggiare per i prussiani, come i contadini erano appunto convinti che facessero i nobili e il clero. Vecchi rancori, e la paura di un Nemico misterioso che verrà a saccheggiare i loro poveri beni, agitano i bastoni dei contadini, La vittima innocente non viene divorata, è vero, ma nel rituale dell'eccidio viene trattata come uno degli animali che, nell'evoluzione delle società umane, hanno preso il posto degli uomini nei sacrifici propiziatori agli dèi. Nella pubblicistica francese dell'epoca, il tranquillo villaggio della Dordogna divenne un villaggio di cannibali, il luogo dell'orrore primordiale. Arrivò la ghigliottina, si fece una rapida e provvisoria giustizia, e tutto fu dimenticato in fretta. Schierati con l'imperatore-padre, i contadini erano convinti di «lavorare» per il governo e per la patria, di essere i rappresentanti volontari del potere in carica; diventarono agli occhi dei cittadini i mostri abominevoli che la Rivoluzione aveva cercato di esorcizzare, loro che si erano comportati proprio come le plebi rivoluzionarie del 1792, di fronte a un pericolo esterno. Tutte le volte che si parla di un mostro o di un cannibale, sarà meglio drizzare le orecchie. C'è sicuramente qualcosa che non funziona, nel nostro modo di capire e giudicare il mondo. Emesto Ferrerò Thomas Harris Il silenzio degli innocenti Mondadori pp. 386, L. 30.000 Ewald Volhard Il cannibalismo Bollati Boringhieri pp. 602, L. 42.000 Alain Corbin Un villaggio di cannibali nella Francia dell'Ottocento Laterza, pp. 208, L 25.000 inma ri in ve, te; one de in che onol lerso e il di il onne lil'oonEsme acne e sta. cci la ma di ela rinoi engo le atierere, eno ere ici, cini ca da ma egura o il età orl'A soegibali nn. bale 'inurre ori da enere ane, dobile da ini. uoRer i erasseanmiare baima a, è w 10 storico Franco Cardini I sostiene che gli episodi di I cannibalismo nella culI i tura occidentale sono nu■^1 merosi, nonostante i forti divieti religiosi e morali: «Nella cucina o nella farmacopea, per esempio, non si è mai cessato di assumere sostanze umane. Durante le crociate ,e le epidemie del 1630 e 1648, seguite da grandi carestie, si sono verificati casi di antropofagia. In Italia, per esempio, esiste un filone di cannibalismo politico. Quando uno è molto arrabbiato dice all'avversario, "ti mangio il fegato": nella lotta politica medievale questo avveniva davvero. La cronaca cortonese di Boncitolo ricorda un macabro banchetto. Un signore locale, dopo esser stato sconfitto, viene ucciso e fatto a pezzi in pubblico da un macellaio professionista che ne distribuisce le carni. In una cronaca forlivese sull'assassinio di Gerolamo Riario, nipote di papa Sisto IV, si descrive come il cadavere venga buttato dalla finestra e squartato: la folla in tumulto estrae le viscere che diventano oggetto di una improvvisata compravendita. Durante la prima crociata gli episodi di cannibalismo furono numerosi. I tafuri (un gruppo di combattenti marginali che andavano alla guerra serninudi e senza armi), per esempio, quando erano affamati sotto le mura di Antiochia, chiesero e ottennero il permesso di mangiare la carni dei A Ifonso Di Nola SGARBI IN TV DIVORA L'AVVERSARIO antropologo Alfonso MDi Nola cita un esempisignificativo per dimostrare quanto il consumdi carne umana, in certcircostanze, fosse accettato anche dalle istituzioni: «Nella vitdi San Camillo di Lendis (fondatore dell'ordine che ha ospedalin tutta Italia) vissuto tra la findel '500 e l'inizio del '600 c'è un riferimento esplicito all'antropofagia. Questo santo abruzzespartecipa a una delle ultime crociate contro i turchi sulla costdalmatica, e narra un avvenimento consumato "a gloria dCristo": i crociati tagliano lpancia ai turchi caduti, ancorvivi, gli estraggono il fegato e s10 mangiano palpitante. Quellche per noi è un dato di orrorenel '600 era pienamente accettato. Uccidere un infedele e mangiarne le carni, era un atto convalidato dalla società, oltre chdalle istituzioni. E' solo durantl'illuminismo che noi occidentali rimuoviamo l'antropofagiaProiettiamo l'uso del cannibalsmo sulle popolazioni cosiddettprimitive per liberarci dalla copa che ci ha accompagnato damedioevo fino al '600, anche sin casi sporadici. Il cannibalsmo, però, non è morto del tuttopermane sotto forma simbolica11 caso Sgarbi è un esempio dcannibalismo televisivo. L'aggressività moderna, il mangiarl'altro metaforicamente, sosttuisce il vecchio cannibalismoche era più onesto perché piI CROCIATI IN NOME DI DIO MANGIAVANO I TURCHI