COSI' GLI STRANIERI IMPARANO L'ITALIANO
COSI' GLI STRANIERI IMPARANO L'ITALIANO COSI' GLI STRANIERI IMPARANO L'ITALIANO CONCENTRATI come erano sui problemi dell'italiano lingua straniera in patria, molti si sono accorti soltanto di recente, con l'accresciuta immigrazione di extracomunitari, che esisteva anche il problema di insegnare l'italiano a veri stranieri. In realtà la domanda di corsi di italiano lingua seconda, seppure non grandissima, c'è da tempo e presenta esigenze molto variegate: dall'italiano per turisti in viaggio ad un italiano per sopravvivere in Italia come lavoratore straniero, all'italiano per figli e nipoti di emigrati italiani che in Australia, in Argentina, negli Stati Uniti riscoprono l'orgoglio delle radici. Le case editrici si stanno equipaggiando di testi adatti alle varie esigenze; ad esempio, la Zanichelli già aveva un «corredo linguistico» (come recita il catalogo evitando di usare l'anglismo kit) per imparare l'italiano da soli, preparato nel 1982 per la Pan Book di Londra da G. Carsaniga e B. Hill \Passport to Italy. Manuale di autoistruzione, 3 cassette, 1 dizionario essenziale inglese e italiano, L. 70.000). Ora ha ritenuto opportuno pubblicare uno strumento didattico fatto in Italia e concepito per lo studio in classe: Mode in Italy. Corso di lingua e civiltà italiana per stranieri di Massimo Maggini e Letizia Vignozzi, autori che uniscono alla conoscenza della glottodidattica una larga esperienza come docenti dì lingua italiana nella Scuola per stranieri di Siena. Nel libro la grammatica, ribattezzata secondo la terminologia ora in voga «riflessioni grammaticali», è data in forma esplicita e talvolta è accompagnata da riferimenti a costruzioni della lingua inglese, ma il punto forte dell'opera di Maggini e Vignozzi sono gli esercizi, non troppo stucchevoli e ben graduati, e le «attività» che simulano situazioni in cui si privilegia l'aspetto comunicativo della lingua o che propongono testi e argomenti su cui discutere. I vocaboli che si vuole gli studenti imparino ad usare nei loro testi orali e scritti sono quelli del Vocabolario di base elaborato da De Mauro, ma ben più ampio è il bagaglio di parole presentate nelle sezioni dedicate alla cultu- ra e alla vita italiana o usate nelle riflessioni grammaticali e nelle istruzioni per eseguire le attività. Rivolgendosi a studenti adulti o comunque scolarizzati, gli autori di Mode in Italy hanno tenuto conto del fatto che il divario fra il numero di parole straniere usate e quelle comprese ma non usate può essere nell'adulto molto più ampio che nel ragazzino. Stesso rispetto delle esigenze e degli interessi dell'adulto si vede nella scelta molto ampia di materiali autentici proposti: i fumetti a tinte brillanti lasciano il posto al fotoromanzo, all'articolo di giornale al volantino di protesta, fino al catalogo di vendite per corrispondenza e alle offerte speciali dei supermercati. Vengono proposti anche testi scritti in italiano da principianti stranieri per incoraggiare gli studenti a vincere l'imbarazzo, far comprendere loro quanto si può già comunicare anche con un italiano ancora «povero», quanto illoro italiano semplificato abbia punti in comune con l'italiano che gli italiani meno colti usano nelle loro lettere ai giornali. Mode in Italy presenta un italiano in cui compaiono roleplay, rock-star e breakfast, in cui l'inqumamento è detto polluzione; propone ricette vere in cui la friggitrice è chiamata fiiteuse, e volantini di gruppi autogestiti che usano dove col valore di «a cui». Non sarà un italiano purissimo e scolastico, ma è un italiano moderno, non idealizzato. Come mai un corso di lingua italiana per stranieri si mostra così disinvolto? In primo luogo i discenti (soprattutto quelli adulti) vogliono manuali normativi, ma non troppo lontani dalla lingua viva, che li mettano in grado di distinguere e usare le varietà alte e meno alte della lingua. In secondo luogo gli studi sull'italiano d'oggi sono ormai numerosi e dimostrano che un atteggiamento non puristico nei confronti dei prestiti lessicali stranieri non comporta la morte del nostro idioma. Una recente testimonianza in questa direzione è fornita da una indagine sociolinguistica condotta da Alessio Petralli sulle parole dell'italiano parlato nel Canton Ticino (L'italiano in un cantone, Angeli, Milano, pp. 427, L. 50.000). Con un paziente lavoro durato cinque anni, Petralli ha dimostrato che l'italiano regionale ticinese nonostante le sollecitazioni dei dialetti locali e lombardi, le pressioni dello svizzero-tedesco, delle altre lingue ufficiali della Svizzera, in particolare francese e tedesco, e nonostante l'onnipresente influsso dell'inglese, gode di buona salute. Noi italiani potremmo anche restare indifferenti alle sorti di una variante regionale di italiano parlato da 280.000 persone, quante ne abitano in un grande quartiere di Milano. In realtà la ricerca di Petralli mira a far capire che l'italiano del Canton Ticino è una specie di osservatorio privilegiato. Vi si vedono da un lato gli effetti di una maggior resistenza al prestito inglese (il self-service nel Canton Ticino è detto servisol), dall'altro il lessico «europeo» vi penetra e si afferma prima che in italiano: da tempo, sull'onda di modelli tedeschi, francesi e inglesi, catalizzatore, polluzione, riservazione, bucalettere hanno il sopravvento su marmitta catalitica, inquinamento, prenotazione e buca delle lettere, ma l'italiano ticinese resta italiano. «Da qualche tempo tutte le lingue colte d'Europa hanno un buon numero di voci comuni... le stesse in tutte le lingue colte, eccetto piccole modificazioni particolari, per lo più nella desinenza»: anche Leopardi se n'era accorto e lo annotava, senza grandi patemi, già nel 1821. Caria Marcilo Massimo Maggini, Letizia Vignozzi Made in italy. Corso di lingua e civiltà italiana per stranieri Zanichelli, pp. 270. 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