CASORATI INEDITO
CASORATI INEDITO CASORATI INEDITO Ritrovati i bozzetti per costumi e scene di «Dafni» E. PALERMO ^ andato in scena J al Teatro Massi* mo il «Dafni» di Giuseppe Mule, il maggior musicista moderno siciliano, che immergendo la tragedia d'amore fra pastori siculi e satiri nel mito mediterraneo diffuso nella cultura fra le due guerre, stilizza il proprio sanguigno temperamento mascagniano. L'interesse maggiore di questa riedizione consiste nella ricostruzione dei costumi e delle scene elaborati quarantanni fa da Felice Casorati nella stagione 1952-53, sulla base di ritrovati bozzetti dei figurini in possesso del Teatro e delle riproduzioni dei bozzetti delle scene nel libretto di sala di quella stagione. Un felice, importante ritrovamento, che documenta l'ultima e finora ignorata opera del «pittore-scenografo» attivo per vent'anni dal Maggio Musicale fiorentino al Festival di Venezia, dall'Opera di Roma alla Scala, a partire dalla chiamata da parte del vecchio amico torinese Guido Maggiolino Gatti alla prima edizione del Maggio fiorentino nel 1933 per la messinscena della «Vestale» di Spontini. Il melodramma classico riesumato, nello spirito storicocontemporaneo cui il musicologo e organizzatore musicale Gatti aveva improntato l'iniziativa, dopo un secolo di oblio era destinato un ventennio dopo alla Scala ad uno dei primi trionfi della Callas con la regia di Visconti. L'iniziativa di Gatti (oltre a Casorati, Sironi per la «Lucrezia Borgia» di Donizetti, De Chirico per i «Puritani» di Bellini, l'architetto razionalista Aschieri per il «Nabucco» di Verdi) era il logico sbocco della sua esperienza, al Teatro di Torino con le scenografie per melodrammi di Chessa e Menzio, nel decennio precedente e nell'ambito della raffinata cultura torinese egemonizzata da Lionello Venturi, Casorati, Alfredo Casella con la rivista «Il Pianoforte» e con il mecenatismo di Gualino. Il punto essenziale di novità, per cui l'iniziativa fiorentina suscitò tempesta, era proprio questo. L'intervento in scena della pittura contemporanea non era una novità da quasi trent'anni sul piano internazionale: ma si trattava, dalla Pietroburgo di Benois padre e di Bakst e di Roerich poi alla Parigi di Picasso, di Derain, di Dufy, dello stesso De Chirico, in gran prevalenza di scene per balletti. Gatti e i suoi «pittoriscenografi» sovvertivano la tradizione fra romantica e naturalistica del melodramma ottocentesco all'italiana. Ma accanto allo scontato sdegno dei tradizionalisti, che suscitava l'ironia di Savinio, anch'egli in procinto di entrare nell'agone, vi fu dal lato dell'avanguardia teatrale il rifiuto da parte di Anton Giulio Bragaglia nei confronti dei «pittori da cavalletto, che hanno semplicemente ingrandito i loro quadri». L'accusa aveva qualche fondamento nel caso dei «Purita¬ ni» di De Chirico. Era pretestuosa nel caso dell'intelligenza critica delle compatte, austere forme di Sironi nei confronti della tradizione, comprovata da un altro recente e fortunato ritrovamento dei bozzetti per i costumi da parte di Mario Penelope, esposti a Marsala nel 1989. Ma l'accusa era del tutto insostenibile riguardo all'impegno totale di Casorati (ben conscio in quella prima prova della scenografia d'avanguardia teorizzata e realizzata da Adolphe Appia), che aveva da un lato idee valide e precise sulla specificità delle forme e del linguaggio scenico del teatro musicale ed era sorretto dall'altro da una cultura musicale antica e moderna e contemporanea ad alto livello. Non per caso divenne lo scenografo d'elezione di Casella e Gian Francesco Malipiero, Petrassi e Ghedini e Dallapiccola; non per caso sono di Massimo Mila le più belle testimonianze del rapporto fra Casorati e la musica. Rapportata al panorama della seconda fase della sua opera di scenografo lungo gli Anni 1940, anche quest'ultima esperienza palermitana dimostra la sensibilità di Casorati nella «lettura» del testo musicale, del suo ambito culturale, dei valori simbolici del contenuto melodrammatico. Ed ecco che allora l'impostazione delle scene del dramma mitico «mediterraneo» richiama, un decennio prima, quella del «Didone ed Enea» di Purcell al Maggio Fiorentino del 1940: la solarità del mare agrigentino è vista e proposta al medesimo modo di quella del mare tunisino. Nei costumi invece rieccheggia ma anche si modifica il ricordo, più vicino, di quelli per le «Baccanti» di Ghedini alla Scala nel 1947-48. Da un parte, la stilizzazione da bassorilievo delicatamente policromo del corteo di Bacco secondo la squadratura musicale di Ghedini; dall'altra, la sanguigna, ferina grossolanità dei satiri seguaci di Sileno. Temperata, nei mirabili bozzetti stesi con un'asciutta tempera dai toni di terracotta sul cartoncino nero, da una raffinata cultura - allusiva alla pittura vascolare greca e italiota - ma anche da un'altrettanto raffinata autoironia rievocativa delle proprie radici secessionistiche; le stesse che vedono irrompere sul palcoscenico la pittura contemporanea. Marco Rosei
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