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URSS AL BIVIO URSS AL BIVIO L'ultima illusione del «nemico» Eltsin SI può dichiarare guerra per offendere, ma anche per difendersi. Si può fare la voce grossa quando si è forti, ma anche perché si è troppo deboli. La decisione di Boris Eltsin segna una svolta drammatica. Ma il conto alla rovescia riguarda in primo luogo le sue sorti e quelle dell'opposizione che egli ha finalmente, disperatamente scelto di guidare. Sarà un mese cruciale, in cui molto di ciò che resta da decidere verrà deciso. Mancano meno di venti giorni all'apertura del Congresso straordinario russo, dove sotto l'offensiva del partito comunista - Eltsin ha perduto la risicata maggioranza che lo aveva eletto un anno fa. Il capo dei comunisti russi, Polozkov, non fa mistero dei suoi obiettivi: sfiduciare il presidente, togliergli dalle mani l'enorme potere di interdizione rappresentato dal governo della Russia. E con ciò eliminare l'ostacolo principale ad un trattato dell'Unione di stampo centralistico e conservatore, privare le Repubbliche ribelli di un potente sostegno, scavare il terreno sotto ipiedi dell'opposizione radicale che ha conquistato i poteri locali e li gestisce alleata al governo russo. fl, referendum del 17 marzo - se, come molti ritengono, si risolverà con una prevalenza dei «sì» all'Unione, per quanto risicata - rappresenterà un colpo ulteriore inferto all'opposizione radicale e alle spinte indipendentiste che erodono la periferia del gigante sovietico. Ma la galassia composita di «Russia Democratica» non è stata in grado di valutare per tempo il pericolo e, del resto, la sua debolezza organizzativa e le sue divisioni interne non le avrebbero consentito di contrastare l'ancora potente macchina comunista. Tardi, troppo tardi per loro, i riformatori hanno compreso l'errore di valutazione dei rapporti di forza nel Paese. Certi com'erano di avere già avuto ragione di un nemico che, nel luglio scorso, appariva confuso e incerto, hanno dimenticato che gran parte del potere reale, dei mass media, della macchina statale, dell'esercito e del Kgb era ancora controllata dal partito comunista. Inebriati dalle travolgenti vittorie elettorali dell'anno scorso, non hanno saputo prevedere che la gestione del potere - che conquistavano avrebbe comportato più oneri che onori e li avrebbe presto portati, per quanto incolpevoli del disastro, sul banco degli imputati accanto alle coorti dei burocrati dipartito e statali. E ora si trovano a fronteggiare l'offensiva conservatrice quando le schiere dei loro sostenitori potenziali sono già pervase dalla deI lusione e dalla sfiducia. Boris Eltsin ha cercato di invertire le sorti della lotta quando già la sua corazzata cominciava a subire i colpi dei siluri avversari. Una furibonda campagna di discredito, diretta contro di lui, contro i sindaci Popov (Mosca) e Sobciak (Leningrado) è stata scatenata. Scandali veri e presunti, genuini e organizzati - in cui sarebbero coinvolti i riformatori, vengono sbandierati dalle prime pagine dei giornali del partito. La televisione è ridiventata strumento di regime come ai tempi brezneviani. La destra - che, dal caposaldo del partito russo, si è impadronita dell'intero partito comunista dell'Urss - non ha ricette (se non quella autoritaria, che non può comunque funzionare a lungo) per portare il Paese fuori dalla crisi. Il disastro economico incalza, insieme con l'emergere di gravi tensioni sociali che possono esplodere con l'inevitabile, imminente aumento generalizzato dei prezzi. Boris Eltsin aveva due scelte possibili di fronte a sé. Accettare una ritirata tattica, e tentare un ultimo aggancio con il leader del Cremlino che, seppure sommessamente, aveva offerto una sponda con il suo discorso in Bielorussia. Oppure porsi alla testa di tutte le opposizioni e tentare l'assalto generale al potere con un'azione dirompente e su tutti i fronti, incluso quello, ad alto rischio, degli scioperi politici. Dalla sua ha ancora un credito di fiducia sufficientemente largo per costituire un pericolo mortale agli occhi dei suoi avversari. Ma può sólo distruggere, non costruire. Ha scelto la seconda opzione, rifiutando ormai definitivamente di operare una distinzione tra Gorbaciov e la destra e, anzi, concentrando la critica contro il Presidente sovietico. Le prossime settimane vedranno dunque sxàlupparsi una lotta senza esclusione di colpi. Eltsin annuncia che farà la riforma agraria in Russia, nominerà i suoi prefetti, disljrìbuirà le terre ai contadini; promette azioni penali contro i capi del partito che'non applicheranno le leggi russe. E, in caso di vittoria del «suo referendum» (per essere eletto presidente della Russia a suffragio diretto), annuncia elezioni immediate a tutti i livelli per scalzare in tutta l'immensa periferia russa i proconsoli del partito. Ma, il 28 marzo, potrebbe ritrovarsi capo dell'opposizione al Cremlino ma senza più alcun potere istituzionale. In ogni caso, anche vincendo, neppure un miracolo gli darà i due terzi dei voti necessari per modificare la Costituzione russa e farsi eleggere dal popolo. Il Rubicone può rivelarsi troppo profondo. Per Eltsin, per Gorbaciov, per tutti. Giuliette Chiesa »sa^

Luoghi citati: Bielorussia, Leningrado, Mosca, Russia, Urss