Francesca Archibugi «gira» all'ombra del Grande Cocomero di Donata Gianeri

Francesca Archibugi «gira» all'ombra del Grande Cocomero La giovane regista di «Mignon è partita» e «Verso sera» parla del nascente progetto di un film, il cui titolo si ispira ad un album di «Linus» Francesca Archibugi «gira» all'ombra del Grande Cocomero «Ma la storia non è buffa, narra il difficile rapporto tra un neuropsichiatra e una bambina» Francesca Archibugi: ventinove anni portati con la massima discrezione, quasi fossero diciannove. Due film di successo (Mignon è partita e Verso sera), portati con la massima semplicità, come una cosa naturale. Una popolarità vissuta con un certo disagio, come una palla al piede. Per il resto, una donna timida e determinata, fragile e saggia: alle cui spalle s'indovinano letture solide e .convincimenti fermi, così come dietro la sua aria infantile s'intuisce un professionismo serio, senza distrazioni. E' una che ha idee precise non solo sul cinema, ma sulla vita: e le esprime bene, scegliendo con cura le parole su cui a tratti s'impunta: «Questo per favore non lo scriva, non vorrei sembrare enfatica». Quello di «sembrare enfatica» è un suo timore ricorrente: non a caso evita le interviste, «perché mi fanno dire cose che non ho mai detto. E perché distraggo¬ no, togliendo tempo al mio lavoro». Per il suo lavoro l'Archibugi ha bisogno di molta calma e di un guscio in cui rintanarsi: al riparo da tutto e da tutti. E al riparo da tutto e da tutti, prima al mare, poi nella sua casa del Chianti che si chiama Podere Bello e che ha comprato insieme al fidanzato, «coi primi guadagni per cui la consideriamo un po' il nostro matrimonio», ha quasi portato a termine il soggetto del suo terzo film, di cui sa già praticamente tutto: dove si svolgerà, quali saranno gli interpreti («italiani, perché voglio poter lavorare in presa diretta, ma non posso ancora dirle i nomi») e, persino, come si intitolerà: Il grande cocomero. — Un titolo buffo, da Linus. «Infatti, si riferisce a un album di Linus. Ma la storia non è buffa. E' la storia semplice e allo stesso tempo difficile del rapporto tra un neuropsichiatra infantile e una sua paziente di 13 anni, che in passato ha sofferto di epilessia e ora rifiuta di crescere. Toccherà a lui, giorno per giorno, farle varcare pazientemente le soglie dell'infanzia e guidarla verso il mondo degli adulti. Il film sarà ambientato al Policlinico di Roma in via de' Sabelli, in quel reparto di neuropsichiatria un tempo diretto con estrema bravura da Marco Lombardo Radice. E' stato leggendo un suo bellissimo saggio che mi è nata l'idea del film e l'ho arricchita pian piano, cercando di approfondire la figura di Lombardo Radice attraverso quanti lo hanno conosciuto, amici, assistenti. Dietro il protagonista, quarantenne, c'è lui». — E dietro la bambina, chi c'è? Lei ha un'abilità straordinaria nel tracciare i personaggi dei ragazzini. «Me lo hanno detto ih molti. E allora ho pensato che forse dipende dal fatto che ho una gran memoria: i miei ricordi risalgo¬ no addirittura a quando avevo due anni e sono precisi al punto che, in casa, vengo considerata una sorta di «banca dati». Dopo la nascita di mia figlia, poi, è come se avessi messo di nuovo a fuoco la mia infanzia: ricordo persino quando mia madre mi cambiava, rovesciandomi sul letto con uno scapaccione». — Le idee dei suoi film nascono per intuizione o sono frutto di una lunga osservazione? «L'una cosa e l'altra: di solito nascono da un'idea centrale, che è un po' come il granello, nell'ostrica. E pian piano viene avvolta dai filamenti di quello che vedi e di quello che leggi, sinché si forma la perla, anche se non vorrei sembrare enfatica. Quest'ultimo soggetto ho cominciato a sciverlo l'estate scorsa, al mare: ora sono a mezza perla, cioè sto cominciando il trattamento, in cui c'è già un abbozzo di dialogo. Dopodiché 1 passerò alla sceneggiatura, in¬ sieme alla Malatesta e alla Sbarigia: tra un anno, se il mio produttore Leo Pescarolo è d'accordo, potremo iniziare il si gira». — Anche lei, come la maggioranza dei giovani registi, ha scelto un cinema di narrazione. «Sì, perché penso che il pubblico abbia bisogno di storie e poi perché sono una che trabocca di storie. Nel senso che chi, come me, parte dall'osservazione, alla fine ha un sacco di cose da raccontare. Diciamo che col mio cinema, anche se mi sembra un po' enfatico parlare di mio cinema, cerco di fare del realismo, perché l'unico discorso che mi interessi è quello sull'uomo, condotto, nel modo più diretto possibile, cioè senza metafore». — Quindi per lei fare un film è un po' come scrivere un romanzo? «Io credo che sia la stessa identica cosa: quello che cambia è il mezzo espressivo, ma l'at¬ teggiamento di rispetto che si ha verso lo spettatore è uguale a quello che si ha verso il lettore». — Il successo le piace o le pesa? «Il successo mi fa paura perché da un giorno all'altro la mia vita è cambiata, nè io mi aspettavo di dover subire tutte questo violenze, tutte queste aggressioni alla mia privacy. E' anche molto faticoso perché una rischia di perdere se stessa, costruendo una falsa se stessa ad uso stampa. Forse le sembrerà un po' enfatico, ma la mia grande aspirazione sarebbe quella di poter rientrare nell'ombra. D'altronde, io credo che il lavoro del regista andrebbe protetto, come accadeva un tempo: sono gli attori che debbono assorbire le ondate d'urto del divismo ed esporsi in prima persona, perché a loro spetta, per mestiere». Donata Gianeri Francesca Archibugi sul set

Persone citate: Francesca Archibugi, Leo Pescarolo, Lombardo Radice, Marco Lombardo Radice, Mignon, Sabelli, Sbarigia

Luoghi citati: Roma