Dee, giocolieri e arcangeli in lotta con luci e tenebre

Dee, giocolieri e arcangeli in lotta con luci e tenebre Marino Marini, duecento opere dall'8 marzo a Roma Dee, giocolieri e arcangeli in lotta con luci e tenebre ROMA ARINO Marini scultore, pittore, grafico: lo presentano duecento opere (1919-1978) in una grande antologica dall'8 marzo al 19 maggio. Due le sedi: la prestigiosa Accademia di Francia (Villa Medici), che riunisce circa 35 sculture tra grandi e piccole, una cinquantina di dipinti e venti disegni. E il Centre Culturel Frangais de Rome (Piazza Navona 62), che espone più di 60 litografie e acqueforti dal 1943 al '78, comprese le due serie bellissime Marino from Shakespeare, tutte pubblicate nel Catalogo ragionato dell'opera grafica di Marini della Fondazione di Pistoia (Graphis Arte, 1990). Curata da Erich Steingràber, direttore della Nuova Pinacoteca di Monaco, e coordinata da Massimo Riposati, editore del catalogo (Carte Segrete) è un omaggio della Francia all'artista pistoiese (1901-Viareggio 1980), che a Roma non si vedeva dall'ultina grande mostra del 1966 a Palazzo Venezia. «Bisognava pure far conoscere Marini ai romani, ecco il motivo della mostra», dice l'editore nella piccola galleria di via Garibaldi, dove tra squilli di telefono e accenti francesi si accalcano cartelle di incisioni in partenza per il Centre Culturel. Le opere, come spiega da Milano la signora Marina, vedova dell'artista, che, oltre a seguire l'attività di musei e fondazioni dedicate al marito, sta scrivendo un libro per Bompiani sulla loro vita in comune, provengono da collezioni private e dalla sua personale. Le appartengono infatti le cinque grandi sculture dell'ultimo periodo con Cavalieri, Gridi, Composizioni di elementi e il grande cavallo e cavaliere dal titolo L'idea di un'immagine. Quest'opera colossale, alta quasi 5 metri, che accoglierà i visitatori all'ingresso di Villa Medici, è stata recentemente ritirata, non senza polemiche, dalla Galleria d'arte moderna di Milano, dove l'aveva depositata l'artista. Non è stata acquistata dal Museo, così la signora l'ha ripresa, fatta restaurare e, dopo l'esposizione, la metterà in una fonderia. Opere famose e meno note, che attraverso tutti i temi e tutte le tecniche daranno un'immagine sempre più completa di un artista che, in questi ultimi anni, ha avuto rassegne importanti a Pistoia e a Monaco nell'87, a Milano nell'89. Marino Marini è, inscindibilmente, scultore, pittore, grafico. Spiegava nel 1969: «I soggetti che ho dipinto dopo il '50, cioè tutti i guerrieri, i cavalli e certe altre forme, sono passati tutti per la mia scultura. O viceversa. Sono sempre delle maturazioni che cominciano con la pittura o la scultura, ma sono sempre lo stesso problema, la stessa poesia, la stessa ricerca, lo stesso modo... Ogni volta ho bisogno di dipingere e ogni volta ho bisogno di scolpire. Ma le due cose sono unite». Nasce però come pittore. Fra i 12 e i 14 anni comin 'a a disegnare, nel 1917, sedicenne, si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Firenze per seguire i còrsi di Galileo Chini. Ma soprattutto «dialoga con la sua terra», «intarsia col colore», come ricordava la sorella gemella Egle, iscritta alla stessa scuola. Tra le rare testimonianze di questi anni, ancora sfuggenti, paesaggi come quelli presentati a una mostra livornese del 1923, nudi, ritratti, a matita, olio, acquerello, che vedremo esposti. Ma già nel 1922 si era iscritto, a Firenze, al corso di scultura di Domenico Trentacoste, Allora, nel primo dopoguerra, nell'ambiente artistico fiorentino, si parlava di Cubismo, Futurismo, si scoprivano i grandi del '400, ma lui, Marino si sente un «ciottolo chiuso», che percorre una sua strada personale. Apre nel 1926 uno studio in via degli Artisti, ai piedi di Fiesole, e dipinge giocolieri, danzatori, donne nude, ritratti. Ma è un periodo «oscuro, vago», dirà. Ci voleva il Nord, la sua sferzata per far nascere davvero l'artista, il contrasto tra la sua natura mediterranea, meditativa, e la città di cemento brulicante di vita e di operai. E' nella «europea» Milano, dove Arturo Martini lo chiama nel 1929 per sostituirlo nella cattedra di scultura all'Istituto Superiore di Monza, che Marini emerge come scultore. Il Popolo, in creta, una delle prime sculture milanesi, oggi alla Galleria d'arte moderna di Milano, sintetizza la cultura di questi anni: la tradizione classica tradotta nel realismo, popolaresco, scanzonato e ironico, del '300 e '400 toscano, da Tino di Camaino a Donatello a Mino da Fiesole. I «nonni etruschi», insomma, «quella civiltà che ancora oggi esce dalla terra». Gli Anni 30-40 sono quelli dell'apertura all'Europa con viaggi e mostre, della messa a punto dei temi che l'accompagneranno tutta l'esistenza: Cavalieri, Pontone, Ritratti, Giocolieri. Incontri a Parigi, nel '35'36 con le avanguardie, da Maillol a Picasso, da Braque a Laurens a Kandinskij, visioni mitiche in Germania nel '34, a Norimberga, a Bamberga, dove sosta estatico di fronte al famoso cavaliere della cattedrale, Enrico II: «L'uomo di virtù che va verso il suo destino». Un'immagine che si mescola alle sobrie, incisive sculture della classicità, del Medioevo e Rinascimento toscano, dal Marco Aurelio Capitolino al San Martino del Duomo di Lucca al Gattamelata di Donatello, e ancora a cento altri come i cavalieri delle necropoli di Tarquinia o le statue lignee del primo '400 sparse per la Lucchesia. Nasce così, nel 1936, il famoso Cavaliere di Marino, simbolo dell'uomo e della sua malasorte, oggi più che mai attuale, che da un iniziale stato idilliaco ruzzola sotto i colpi della guerra, sino a cadere disarcionato e a risor¬ gere solo nella memoria dell'artista. Una vicenda che l'artista, traumatizzato dal conflitto mondiale come l'altro grande scultore Mastroianni, racconta in bronzo, legno, gesso, matita e pennello nei 40 anni di attività. Dai primi sognanti Gentiluomini a cavallo e Pellegrini, del '37-40, in gesso policromo o a tempera su tela, levigati come giocattoli o costruiti da linee essenziali, a quelli goffi e obesi del '43, che ridicolizzano il Duce. Dai tristi Prigionieri, Impiccati, Miracoli e Arcangeli del '43-47 che «denunciano il tempo doloroso e desolato della guerra» durante la sfollamento di Marino nel Canton Ticino ai più fiduciosi Angeli della città, del ritorno a Milano verso il '50, braccia tese e vittoriose. Sino ai tragici Guerrieri e Gridi, abbattuti e ridotti a pietre e fossili, «architetture di una tragedia enorme», nei grandi bronzi dal '50 al '70. «Io cerco - aveva spiegato nel '58 - di simboleggiare T'ultimo stadio della dissoluzione di un mito, il mito dell'uomo eroico e vittorioso, dell'uomo di "virtù" degli umanisti». A segnare tappe e svolte di questo lungo percorso sono gli anni di esilio nel Canton Ticino, quando il linguaggio dell'artista è costretto a trasformarsi sotto gli urti degli avvenimenti, a contatto con Giacometti, Wotruba, la Richier. E nel '50, quando le forme violente o quasi astratte risentono della riscoperta di Picasso, dei contatti a New York con Beckemann, Arp, Calder, e degli incontri a Milano con Moore. Accanto ai Cavalieri, nel mondo di Marini, ci sono le Pomone, dee della terra e della fecondità, simboli femminili. Vivono una vita più appartata, ignara, forse felice. Nascono negli Anni Trenta, ragazze dalle forme solide e i pubi infantili, bagnanti tranquille e filosofe come matrone romane, corpi nudi rosati e distesi, che ricordano i maestri francesi. Nell'iter di Marino si trasformano in Veneri, Giuditte, Danzatrici, Grazie, cariche di verve e di ironia, sensibili ad ogni cambiamento di stile e di umore, dalle prime a matita, ai bronzi del '40 a quelle dipinte nel '50-60. Tra i soggetti congeniali, anche i ritratti. Ecco, dunque, alla ribalta volti famigliari come quello della moglie Marina, delicata e sensibile, del cognato già minato dal cancro, lo splendido Arcangelo, autoritratti, fisionomie anonime e plebee. E soprattutto il suo entourage intellettuale, da Lamberto Vitali a Marc Chagall, immortalato in un bel disegno, da Kokoschka a Germaine Richier, due bronzi che saranno in mostra. «Il ritratto è il modo più diretto per entrare nel mondo dell'umanità. Il nostro secolo, ne sono convinto, è rappresentato e descritto storicamente sul volto degli uomini. Possono essere scrittori, musicisti, ma anche industriali, commercianti, magari un pugile... Di fatto però ho sempre preferito fare il ritratto di artisti, musicisti, scrittori». Maurizia Tazartes l'8 marzo a Roma arcangeli e tenebre «Piccola Giuditta», statua in bronzo realizzata da Marino Marini «Piccola Giuditta», statua in bronzo realizzata da Marino Marini