Mosca: «Bastavano altre 48 ore» di Enrico Singer

Mosca: «Bastavano altre 48 ore» Per il Cremlino gli spazi per la trattativa con l'Iraq non ancora del tutto chiusi Mosca: «Bastavano altre 48 ore» «Le differenze tra il piano sovietico e quello americano non erano grandi. L'Onu riannodi ifili del dialogo» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Ha prevalso l'istinto di affidarsi a una soluzione militare» e l'Unione Sovietica «esprime il suo rammarico» perché «è stata persa un'occasione reale di risolvere pacificamente il conflitto». La reazione del governo sovietico è arrivata con un lungo comunicato letto da un portavoce sette ore dopo l'avvio dell'attacco terrestre per liberare il Kuwait. Mosca, che aveva tentato di imporsi come la capitale del negoziato e che sperava di diventare la capitale della pace, è delusa. E' anche molto preoccupata. Prende le distanze da «un'operazione che si poteva evitare trattando ancora uno o due giorni», ma non rompe la solidarietà con il fronte anti-Saddam. Anche se il «nuovo clima» stabilito con Washingon è entrato in una fase di estrema turbolenza. Il rammarico ufficiale s'intreccia all'imbarazzo, nemmeno tanto nascosto, per il risultato di un'iniziativa diplomatica condotta sul filo di una settimana in un'altalena di speranze e di battute d'arresto. Certo, Michail Gorbaciov ha dimostrato di lavorare fino all'ultimo per la pace, ma non ha raggiunto l'obiettivo. Non ha convinto l'Iraq a un ritiro senza alcuna condizione e non ha convinto nemmeno George Bush ad accettare quel piano in sei punti che Mosca aveva strappato a Tareq Aziz come «il massimo ottenibile». La linea di Gorbaciov nella crisi del Golfo, già criticata dall'ala dura dei militari e dei conservatori del partito, è esposta adesso a nuovi attacchi. «E' in gioco l'autorità dell'Unione Sovietica come grande potenza», ha affermato uno dei commentatori della «Tass». L'imbarazzo è provato an¬ che dal silenzio che il capo del Cremlino si è imposto, almeno finora, dopo la svolta nelle operazioni militari. «Quella che vi sto per leggere è una dichiarazione del governo sovietico», ha detto ieri mattina il portavoce del ministero degli Esteri, Vitali) Churkin, che è comparso nella grande sala delle conferenze dove tutti attendevano il portavoce di Gorbaciov, Vitalij Ignatenko, che negli ultimi giorni aveva riferito ogni fase della maratona delle trattative con Tareq Aziz. Il Presidente sovietico, forse, parlerà oggi in televisione. Ma per la prima reazione ha preferito affidarsi allo «schermo» del governo e ad una miscela ben dosata di toni a tratti prudenti, a tratti severi. «Un'occasione perduta» Nel comunicato letto da Vitalij Churkin, l'iniziativa di pace sovietica è difesa con decisione: il sì iracheno al piano in sei punti «aveva creato una situazione qualitativamente nuova», le difierenze tra il progetto di Mosca e le richieste degli Stati Uniti e degli altri Paesi della coalzione «non erano grandi». Per questo, secondo il governo sovietico, è stata sciupata un'occasione «per ottenere il rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite senza altre perdite umane e materiali». Ma il «rammarico» non è una condanna. E nel comunicato sono anche elencati con puntiglio tutti i contatti tenuti con Wa- shington e con le altre capitali della coalizione. Sabato notte, quando l'ultimatum di Bush era scaduto ma l'offensiva non era ancora cominciata, il portavoce di Gorbaciov aveva anticipato che,- di fronte a un'eventuale oeprazione di terra, l'Unione Sovietica «non avrebbe pronunciato condanne, ma rammarico perché l'attacco avrebbe dimostrato che la comunità internazionale è incapace di risolvere la crisi con mezzi pacifici che, pure, sono a portata di mano». E la reazione ufficiale di ieri ricalca questo atteggiamento. Anzi, contiene anche l'augurio che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riesca a riannodare il filo delle trattative: «Non è ancora troppo tardi per farlo». Ma le reazioni che arrivano dagli ambienti militari e conservatori sono molto più dure contro gli Stati Uniti e, quindi, critiche nei confronti di Michail Gorbaciov. Dalle colonne della «Pravda» il ministro della Difesa, maresciallo Dmitri Yazov, si era già chiesto sabato se, dopo la fine della guerra, «finirà anche la politica di potenza degli Stati Uniti nella regione». E ieri un attacco frontale alla «logica di guerra di Washington» è stato lanciato da uno dei commentatori della «Tass», Askold Bityukov, che ha ripreso molti dei temi sostenuti nei giorni scorsi da alti ufficiali sovietici: «Gli Stati Uniti vogliono distruggere il potenziale militare-industriale dell'Iraq e vogliono garantirsi una posizione di forza nel dopo-guerra del Golfo, ma questo allontana e complica seriamente tutte le prospettive di pace in Medio Oriente». All'erta le forze aeree Nell'analisi della «Tass», la guerra potrebbe anche allargarsi, anziché finire presto. E, comunque, ha già «ampiamente superato il mandato delle Nazioni Unite». L'avvio delle operazioni terrestri ha anche riacceso la tensione nelle Repubbliche meridionali dell'Unione che confinano con la Turchia e con l'Iran e che, in alcuni punti, sono ad appena 200 chilometri dal territorio iracheno. Le forze aeree sovietiche sono state messe in «massima allerta», come ha annunciato ieri il generale Vladimir Litvinov, vicecomandante della difesa aerea dell'Unione Sovietica. Il generale ha detto che i sistemi di torra e i caccia sono «pronti a distruggere» missili o velivoli che violassero lo spazio aereo sovietico. Enrico Singer Mezzi blindati di genieri inglesi del 7° Corpo di armata fanno brillare le mine prima dell'avanzata delle truppe alleate