L'ombra di Saddam

L'ombra di Saddam L'ombra di Saddam stavano sferrando la prima, seria offensiva contro il gruppo gorbacioviano. E' circostanza da non dimenticare. Coincidenza? Forse. Ma colpì l'entusiasmo con cui Saddam Hussein, tra i primi noi mondo, commentò la notizia delle dimissioni di Shevardnadze, a dicembre: «Se n'è andato colui che aveva venduto la politica sovietica agli interessi dell'America». Colpisce, oggi, che gli stessi concetti dilaghino sulla stampa conservatrice sovietica e che il ministro della Difesa Yazov (sul palco insieme al capo del Kgb alla manifestazione della destra di sabato scorso) li ripeta in un'intervista alla «Pravda». Poteva Saddam Hussein muovere le sue truppe all'insaputa di migliaia di consiglieri militari sovietici? Poteva concepire un disegno di tale sconvolgente portata senza consultarsi con potenti e interessati interlocutori moscoviti? Senza cercare assenso, più o meno esplicito, senza coperture, mettendo tutti di fronte ad un fatto compiuto? Poteva, certo. Ma tecnicamente, politicamente, logicamente è più attendibile ipotizzare l'esatto contrario: non poteva. Dirà la storia come andarono le cose. E solo i servizi segreti potrebbero oggi ricostruire il complicato intrecciarsi di contatti, specie non pubblici, che si dipanò nell'estate scorsa tra Mosca e Baghdad. Ma alla luce degli sviluppi successivi non può essere scartata l'ipotesi che ^operazione Kuwait» sia stata pensata (o consapevolmente usata) come un micidiale siluro contro l'embrione di una svolta cruciale in atto a Mosca e contro i suoi vasti riflessi sulla politica mondiale. Sappiamo che, tra luglio e novembre dell'anno scoreo, i circoli 'militari sovietici avevano già scelto di contrastare apertamente la linea di politica estera del binomio Gorbaciov-Shevardnadze. L'intera trattativa per la riduzione delle armi convenzionali in Europa fu costellata di colpi di mano, il cui evidente obiettivo era quello di delegittimare e paralizzare la squadra gorbacioviana. La ritirata dall'Est-Europa e l'unificazione tedesca avevano fatto traboccare il vaso. L'apice dello scontro si verificò nei giorni della conferenza di Parigi, quando Gorbaciov e Shevardnadze - ormai incalzati - decisero di varcare il Rubicone rilanciando la grande intesa con l'Occidente, fino al limite estremo della firma all'ultimatum a Saddam. Il Presidente sovietico era po¬ tuto tornare in patria con impegni di aiuto alla perestrojka per quasi 17 miliardi di dollari e con l'essenziale, storico» risultato politico di aver convinto l'America ad agire nell'àmbitodella legittimazione delle Nazioni Unite. Frutti opulenti se considerati nella prospettiva di una riforma radicale dell'economia verso il mercato e di un'apertura definitiva del Paese al resto del mondo, ma frutti avvelenati per chi ripudiava - e ripudia - entrambe le prospettive. Se la coalizione Gorbaciov-Eltsin avesse tenuto; se la crisi economica e nazionale non fosse precipitata; se l'Occidente avesse compreso e assecondato con maggior lungimiranza, allora anche Saddam Hussein si sarebbe trovato senza alcuna speranza di appoggio su una «sponda sovietica» e il 15 gennaio non si sarebbe trasformato in uno spartiacque tra la pace e la guerra. Il calcolo - l'azzardo - di Gorbaciov si basò, probabilmente, su quésti «se». Che non si sono verificali. La disfatta riformatrice - di cui le dimissioni di Shevardnadze furono estremo segnale al mondo - cominciò a precipitare a valle come una gigantesca slavina, trascinando con sé, verso lo scontro, anche la crisi del Golfo. Se questa interpretazione dei fatti è corretta, allora occorre evitare semplificazione e trarre se possibile - qualche lezione per il futuro. La semplificazione da evitare è interpretare la mediazione di Gorbaciov come un ritorno puro e semplice del Cremlino alla vecchia politica di potenza. E' vero che essa puntava a evitare la disfatta totale di Saddam e che ridava respiro al ruolo tradizionale dell'Urss. Ma essa offriva anche una via d'uscita a Gorbaciov sul piano interno. Molti osservatori sembrano non aver compreso (o sottovalutano) che la liquidazione totale della potenza irachena - che sta avvenendo - può trasformarsi assai presto in un capo d'accusa diretto contro Gorbaciov, reo di aver avallato l'azione della coalizione occidentale. Non l'hanno capito neppure molti radicali sovietici che paventavano un successo della mediazione del Cremlino perché - dicevano avrebbe dato a Gorbaciov nuovo respiro internazionale e nuovi margini di manovra sul piano interno (verso un indurimento dell'ordine e la repressione delle spinte nazionali centrifughe). Ora l'Occidente è a un passo dalla «sua» vittoria. Ma potrebbe ancora evitare la tentazione di stravincere. Perché, così facendo, affosserebbe gli ultimi interlocutori. Dopo potrebbe essere costretto a fronteggiare una crisi più grande e assai meno governabile. Giuliette Chiesa

Luoghi citati: America, Baghdad, Europa, Kuwait, Mosca, Parigi, Urss