L'impeto di Gobetti illuminato dallo stile di Casorati di Bruno Quaranta

L'impeto di Gobetti illuminato dallo stile di Casorati All'inaugura2ione del Centro Studi di Torino, il pittore donò il quadro che raffigurava il giovane amico L'impeto di Gobetti illuminato dallo stile di Casorati E il ritratto del direttore di «Rivoluzione liberale» diventò specchio di un 'epoca T TORINO RENT'anni fa, di questi giorni, veniva inaugurato il Centro Studi «Piero Gobetti». Un periodo scelto non a caso. Febbraio ( 1926) è il mese in cui il direttore di Energie nove, La rivoluzione liberale, Il Baretti si accomiata. Da Torino («...attraverso la botte di vetro traballante che va nella neve»), verso l'esilio parigino. E dalla vita: il passo d'addio, nella capitale francese, intorno alla mezzanotte di lunedì 15. A Parigi, Gobetti voleva continuare l'opera sabotatagli dal fascismo: plasmare una nuova classe dirigente, cardine di un'Italia «che non ha bisogno di chiamare eroismo la sua ferma coscienza morale». Per iniziare confidava a Prezzolini - «mi basta un tavolo, il telefono e i quadri di Casorati». Di Casorati, il giovanissimo intellettuale fu il primo critico: la monografia che gli dedicò giunse a rivelare un pittore moderno, autore di quadri «di perfetta classicità». Come il ritratto di Piero, eseguito nel '61, ad hoc per il Centro Studi. Gobetti muove dal suo crogiuolo di via Fabro 6 («Penso un editore come un creatore») per raggiungere lo studio casoratiano, nel nido dei nobili, in via Mazzini 52. Via Cernaia; via Pietro Micca (sotto i portici «commemora» con Luigi Salvatorelli, a un anno dalla morte, Giacomo Matteotti); piazza Castello («Ci vinceva tutti alla corsa, negli intervalli delle tetralogie al Teatro Regio», rammenterà Carlo Levi); via Po con l'Università (tra i maestri prediletti: Luigi Einaudi e Gioele Solari); piazza Vittorio; via della Rocca, estatica e ferma come le tele ebe nascevano in quei paraggi, in un atelier «silenzioso e un po' triste». Di visita in visita, fra il rabdomante di Risorgimento senza eroi e l'artefice di Silvana Cenni cresce un'amicizia «tenace completa perfetta». Una complicità che Casorati testimonierà, artisticamente, disegnando il motto greco della casa editrice di Gobetti («Che ho a che fare io con gli schiavi?») e componendo il profilo ascetico dello scarruffato eroe. «Casorati - ricorda Carla Gobetti, direttrice del Centro, nuora di Piero - si presentò poco prima che cominciasse la cerimonia d'inaugurazione. Con sé, il quadro raffigurante l'amico, modellato sulla scorta dei ricordi e grazie a una fotografia. Un gesto spontaneo. Ci eravamo limitati, verso la fine del 1960, ad annunciare al maestro la nostra idea. Se ne entusiasmò al punto che volle autenticarla con il suo sigillo pittorico». La donazione del ritratto non fu però quieta, calamitò un accento rocambolesco. Racconta Carla Gobetti: «Il quadro, giunto nelle mani di Paolo, il figlio di Piero, cadde, il vetro andò in frantumi. Le personalità stavano arrivando. Che fare? Casorati non smarrì la calma. In breve, questione di minuti, trovò chi sostituisse la teca. L'incidente ne riecheggia un altro: quando, vivo Piero, si sbriciolò, cadendo dal balcone, una fra le rare terrecotte dell'artista». «Una bottega del Settecento»: così è stato definito il Centro, afferrandone l'aura artigianale e illuministica («Illuminismo» s'intitola il manifesto del Baretti). Qui, nella casa-officina di via Fabro, il formidabile organizzatore di cultura (il 19 giugno cade il novantesimo anniversario della nascita) combatté una battaglia volta innanzitutto a «salvare la dignità prima che la genialità». La scrivania da cui orchestrò la sfida è ancora «pulsante», tessera di un arredamento immutato nelle stagioni, sobrio, «arido», aggettivo gobet- tiano per eccellenza, sintesi di misura, serenità, ironia. Cifre con «l'inesorabile volontà» - di uno stile inconfondibile, esaltato nel Ritratto. Ecco «l'arcangelo della Rivoluzione liberale» colto da Casorati: i capelli ricciuti, gli occhiali cerchiati, la mano sinistra allargata sul petto, in segno di fedeltà alla parola data («Resteremo al nostro posto»), dinanzi a sé le tavole di un decalogo laico, ma con una vena veterotestamentaria («...la sicurezza di esser condannati, la crudeltà inesorabile del peccato originale, volendo usare forme mitiche di espressione, è la sola che ci possa dare l'entusiasmo dell'azione»), il volto fuso in una «disperata lucidità», ma anche capace di ospitare - come direbbe Mario Fubini - «una fondamentale indulgenza». Per chi non'sa, o non vuole, fargli da specchio. Bruno Quaranta Il ritratto di Piero Gobetti realizzato da Casorati per il Centro Studi

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