Il borghese cerca princìpi di Mario Deaglio

Il borghese cerca princìpi Il borghese cerca princìpi Non basta l'utile ad animare i mercati jl ESPANSIONE moderna " dei mercati ha coinciso con il venir meno della i moralità tradizionale e U delle sue regole non scritte, con il passaggio da una «comunità degli affari» ristretta, sovente basata sulla conoscenza personale, con principi morali chiari e condivisi dai partecipanti, a un mercato di dimensioni planetarie, necessariamente anonimo, i cui partecipanti possono non avere in comune alcun principio etico. In questo mercato più vasto, se il mio codice morale considera meritorio, o anche solo mi consente, di avvelenare il concorrente che non sia della mia razza o religione, o, più banalmente, di falsificare documenti, contraffare marchi, rubare progetti, perché mai non debbo compiere tutte queste azioni? Questa domanda, che avrebbe ottenuto una risposta sdegnata dai vecchi capitalisti, non è più tanto oziosa ai giorni nostri, con l'attuale molteplicità di codici morali derivante dalla globalizzazione dei mercati, dal secolarizzarsi delle società avanzate, dall'attenuarsi delle barriere d'accesso. Regole a mezza strada Una normativa giuridica più severa non rappresenta, di per sé, una risposta appropriata, nella grande maggioranza dei casi, per la sua intrinseca rigidità, a fronte della mutevolezza delle situazioni che la realtà dei mercati propone. E' necessario pensare ad altri tipi di regole, a mezza strada, per dir così, tra precetti morali non più universalmente validi tra i partecipanti ai mercati e norme giuridiche non più universalmente efficaci. La capacità delle società occidentali avanzate di dar vita a tale complesso di regole - che permettano un elevato livello di autonomia e di efficienza del mercato, non interferiscano in maniera sostanziale con la libertà del singolo partecipante, abbiano un carattere universale, essendo valide nei confronti di tutti i partecipanti, e non creino vistose anomalie di funzionamento (condizioni indispensabili perché il mercato, nella concezione del pensiero neoclassico, possa esplicare i suoi benefici) - può ben essere il terreno sul quale si giocherà il futuro dell'esperimento neoborghese di questo fine secolo. Un eventuale fallimento, infatti, chiamerebbe in causa la validità stessa del mercato quale regolatore sociale, ma anche un successo, ottenuto con regole troppo fortemente limitatrici della libertà individuale, definirebbe de facto il rapporto tra mercato e regole in senso sfavorevole al mercato. Non serve quindi l'assenza di regole, bensì un insieme di regole, diverse per la loro origine, solo in ultima istanza imposte dall'esterno e non più derivabili da intime convinzioni da tutti condivise. Lo sviluppo più consono alla società neoborghese è certamente la creazione spontanea di una normativa dei mercati da parte della generalità dei partecipanti ai mercati stessi. Ma come può verificarsi il consenso su tali norme, data la diversità dei punti di partenza? In un ambiente utilitaristico, questo processo può partire dalla constatazione del < ctrattere di «bene comune» 'lei mercato in quanto istituziouj sociale: esso arreca vantaggi effettivi o potenziali a tutti i partecipanti, e, in una società neoborghese, per le cose dette prima, a tutti i possessori di capitale umano. I partecipanti, hanno quindi un interesse specifico alla continuazione e alla regolarità dei mercati; è concepibile, pertanto, da parte di ciascun soggetto, un'adesione a regole di funzionamento del mercato diverse dalle regole della propria moralità individuale, giustificabili con il loro contributo alla funzionalità del mercato stesso. Alle medesime conclusioni, e cioè al sorgere di una regolamentazione spontanea funzionale al mercato che ne garantisca sopravvivenza ed espansione, è possibile giungere mediante applicazioni della teoria dei giochi che mostrano, attraverso una serie ripetuta di giochi tra i diversi partecipanti, l'emergere vittorioso di coloro che rispettano norme cooperative. La tutela della qualità Ciò può avvenire non già per un'intima adesione ai principi che garantiscono un buon funzionamento del mercato, bensì in base al riconoscimento che, senza quei principi, il funzionamento dei mercati, e quindi della società, non sarebbe possibile o, in termini più ristretti, procurerebbe ostilità alla categoria interessata e interventi esterni più severi e maggiormente limitativi della libertà dei partecipanti. Il mio codice morale può permettermi di falsificare documenti, ma devo riconoscere che il mio comportamento, se fosse generalizzato, porterebbe al caos sui mercati; posso non avere alcuna obiezione morale alla pratica dell'insider trading, ossia all'uso di informazioni riservate che consentono di realizzare ampi profitti, e tuttavia convenire che la disparità che ciò crea tra i partecipanti riduce l'ampiezza dei mercati, scoraggia o addirittura impedisce l'ingresso di nuovi partecipanti, limita il ruolo sociale dei mercati stessi e può provocare interventi esterni con conseguenti restrizioni ben più pesanti di quelle che il mercato, a parità di risultati, sa¬ prebbe imporsi da solo. Simili considerazioni hanno già contribuito alla formulazione - determinata anche, e forse in via prioritaria, da principi etici di origine non utilitaristica - dei codici deontologici di numerose categorie professionali (medici, giornalisti, in generale tutti coloro che esercitano una «professione liberale»), da più tempo abituate a operare in un mercato aperto. L'inquinamento e i problemi determinati dalle biotecnologie stanno inducendo altri settori della vita economica, come le industrie chimiche e farmaceutiche, a darsi anch'essi norme volontarie, a carattere privato ma cogenti, nei confronti dei rispettivi membri, le quali prevedono sanzioni quando le norme stesse non siano rispettate. L'enfasi sulla qualità dei prodotti che caratterizza questa prima fase degli Anni Novanta impone ai partecipanti ulteriori obbligazioni che si possono far risalire a motivazioni etico-utilitaristiche. Molti settori si sono dati organi di certificazione seprati dagli organi che sorvegliano il rispetto dei codici deontologici - che attestano, senza pressioni dall'esterno, la qualità e il processo di fabbricazione seguito (si pensi al marchio «pura lana vergine», al «vero cuoio», alle denominazioni d'origine dei prosciutti, e a numerosi altri casi del genere). Per il banditore walrasiano in una società basata sul mercato si prospetta così un allargamento di funzioni. Può assumere il ruolo di arbitro, liberamente scelto, al quale i partecipanti al mercato accordano il potere di comminare sanzioni generalmente sotto forma di sospensione temporanea dell'attività o di azioni riparatorie - e non solamente di esprimere giudizi morali di condanna o di svolgere le funzioni di notaio del mercato. Mario Deaglio