Vestire gli ignudi far quadrare i conti di A. Galante Garrone

Vestire gli ignudi far quadrare i conti Etica ed economia: un volume, un dibattito e un saggio riaprono la discussione Vestire gli ignudi far quadrare i conti Quale rapporto fra etica e economia? Se ne parla oggi (ore 18) al Teatro Carignano di Torino alla presentazione del volume «Etica ed economia» edito da «La Stampa», con saggi di Isaiah Berlin, Luciano Gallino, Giorgio La Malfa, Carlo Maria Martini, Cesare Romiti, Salvatore Veca. Alla presentazione del volume intervengono: Luciano Gallino, Giorgio La Malfa, Paolo Mieli, Cesare Romiti e Salvatore Veca. Il rapporto fra etica ed economia è stato anche affrontato dallo studioso Mario Deaglio nel volume La nuova borghesia e la sfida del capitalismo (Laterza), del quale pubblichiamo in anteprima pagine del capitolo «Il mercato incompiuto». HA ragione il filosofo Salvatore Veca, nella lucida introduzione a Etica ed economia - una raccolta di J saggi di Berlin, Gallino, La Malfa, Martini, Romiti (Editrice La Stampa) - di dire che il titolo sarebbe piaciuto al padre della moderna scienza economica Adam Smith, e al più grande economista del nostro secolo John M. Keynes. E questo perché gli economisti sono spesso uomini vivi, appassionati e attenti ai dilemmi sociali e alle ansie del loro tempo. Una forte tensione etica pervade in vario modo questo libro che, per dirla con Veca, «è una tessera del mosaico o, per così dire, un paragrafo di un più ampio libro cui ciascuno di noi ha la responsabilità di contribuire». Ed essa affiora subito, luminosa, dal saggio di Berlin, Alla ricerca dell'ideale. Il lungo itinerario culturale e morale dell'emigrato giunto undicenne dalla Lettonia in Gran Bretagna, precocemente ispirato da Guerra e pace di Tolstoj e da altri scrittori russi a ideali libertari, era approdato, dopo fervidi studi su Condorcet, Hegel, Marx, Vico, Herder, Herzen, alla conclusione che i valori delle varie culture e civiltà esistenti sul nostro pianeta non sono necessariamente compatibili e conciliabili fra loro, e riconducibili a una univoca sintesi. Pluralismo culturale e morale, dunque, non relativismo come pareva al suo amico Arnaldo Momigliano. Si deve accettare come un fatto naturale che gli uomini aspirino a fini contrastanti. L'importante è che essi, preso atto di questa conflittualità, cerchino di comprendersi, «attingano luce» l'uno dall'altro, non si adagino su «comodi letti dogmatici», difendano accaniti le proprie idee ma si sforzino di comprendere i diversamente pensanti, diffidino dei «profeti armati», dei detentori di certezze e verità assolute, da Lenin a Mao e a Poi Pot. A tutti gli uomini, Berlin raccomanda «una certa umiltà», nello sforzo di dare a una società decente un equilibrio precario. E conclude: «Possiamo fare solo quel che possiamo; ma questo dobbiamo farlo». Sembrerà ai Ce giovani idealisti, egli dice, una «risposta molto piatta, terra terra». Eppure, non c'è altra via per cercare la verità, o almeno una certa approssimazione ad essa. «Se c'è un piccolo fondo di verità in questo modo di vedere, forse può bastare». Un atteggiamento che mi ricorda quello di un grande italiano, Salvemini; che dopo la guerra mi parlava di lui con entusiasmo, e m'incoraggiava a scrivergli. Con le pagine del sociologo Luciano Gallino entriamo nel vivo dei rapporti fra etica ed eco- nomia. Egli afferma e dimostra che la superiorità del mercato in termini di efficienza e perfino di tutela dei diritti individuali non ci dà tutte le risposte. Resta pur sempre ineludibile la questione della giustizia sociale, distributiva. E i problemi di economia vanno affrontati con la cautela di chi si preoccupa del vero bene di tutti. In ogni economia, «operare per consentire al maggior numero di guidare responsabilmente il proprio destino è la forma più autentica di azione etica». Le pagine accorate di un insigne uomo di Chiesa, Carlo Maria Martini, a proposito della sfida che viene posta agli imprenditori cristiani, si riallacciano nobilmente alle parole di Paolo VI sulla «necessaria» attività economica che può essere «sorgente di fraternità e segno della Provvidenza». Dunque, per mons. Martini, non la smithiana «mano invisibile» ma la fede, l'etica cristiana è quella che deve guidare l'agire dell'operatore economico. Di segno diametralmente opposto - nel senso che l'accento cade non sulle soprastanti ispirazioni morali e religiose ma, con cruda e sincera nettezza di pensiero, sull'efficienza dell'impresa e sul perseguimento del massimo profìtto - è il saggio di Cesare Romiti. Con accenti schumpeteriani, egli insiste sul valore liberatorio e progressivo della rivoluzione tecnologica oggi in corso, che sola «può sostenere lo sviluppo economico ai ritmi necessari». L'efficiente conduzione dell'impresa è l'autentica misura dell'etica dell'imprenditore. Anche l'inevitabile espansione della grande impresa a livello europeo o addirittura planetario può diventare, «dal punto di vista etico», un fatto positivo. Chiarezza dei bilanci, correttezza amministrati' va, tutela della libera concorrenza, sono i principali doveri dell'imprenditore. Il suo orizzonte morale si circoscrive nello sviluppo dell'impresa. Soltanto alla fine del saggio leggiamo una generica frase che va al di là di questo limite: «Il possesso delle capacità tecnologiche non è nulla in confronto al possesso della libertà». Più articolato ed equilibrato, secondo me, e sensibile ai problemi posti dalla conflittualità tra fini etici e fini economici, appare il saggio di Giorgio La Malfa, // capitalismo e la giustizia sociale. Consumatosi ormai il fallimento del socialismo marxista, come meccanismo economico e sistema politico, il capitalismo, poggiante sull'interesse individuale, ha vinto con esso il suo confronto storico, e così pure il mercato quello con lo Stato. Ma non è detto che l'efficienza e la giustizia coincidano necessariamente. E' sempre aperta la via, tutt'altro che facile, di un intervento della «mano pubblica» con tutti i rischi e i costi che questa comporta - per un'azione correttiva della distribuzione dei redditi e dell'impiego delle risorse, per debellare la disoccupazione, le sacche di povertà, l'arretratezza di tanta parte del mondo. Come ha detto Berlin, primeggia sempre il dovere di «fare spazio al benessere collettivo, sfamare gli affamati, vestire gli ignudi, dare un alloggio ai senzatetto, consentire agli altri di essere liberi, non ostacolare la giustizia e l'equità». A. Galante Garrone Cesare Romiti Un'immagine di Wall Street: la «comunità degli affari» supera ormai le barriere degli stati per assumere dimensioni planetarie

Luoghi citati: Gran Bretagna, Laterza, Lettonia, Torino