Saddam all'inferno, Assad in paradiso

Saddam all'inferno, Assad in paradiso Il dittatore siriano, ex mente del terrorismo, è ora nelle grazie del mondo occidentale Saddam all'inferno, Assad in paradiso Una «pioggia di miliardi» nel futuro di Damasco Più la guerra continua, più il prezzo di Hafez Assad sale. Ha già incassato molto, ma conta di guadagnarci ancora di più. Molto di più. Tutto sta andando bene per l'ex Satana del Medio Oriente, l'ex arcinemico degli Usa, l'ex falco della Lega Araba, l'ex mente del terrorismo internazionale. Da grande equilibrista, con un triplice salto mortale, il dittatore di Damasco è atterrato nel salotto buono dell'Occidente e adesso tutti si fanno premura di offrirgli qualche spuntino. E di promettergli, per il futuro, pranzi ben più sostanziosi. Il prezzo che ha pagato finora è modesto. Come sempre (come aveva già fatto durante il conflitto Iran-Iraq) si è schierato contro il fratello-nemico Saddam Hussein. Ha mandato 19 mila soldati in Arabia, con l'ordine, praticamente, di non combattere. Ha espulso da Damasco un paio di gruppi terroristici (che lui stesso finanziava). Ha orchestrato, sui giornali e sulla tv, una campagna martellante contro il «pazzo di Baghdad». In cambio, ha potuto trasformare il Libano in un protettorato siriano, e ha avuto il placet occidentale per riammodernare una macchina bellica che, dopo l'interruzione dell'apporto so vietico, cominciava a darò segni di logoramento. Quando, nelle settimane scorse, il tedesco Genscher ha promesso ad Israele finanziamenti militari per circa un miliardo di dollari, Assad ha subito battuto cassa a Riad. E l'Arabia Saudita, con il benestare americano, ha prontamento risposto concedendo a Damasco un finanziamento analogo a quello ottenuto da Tel Aviv. Per «riequilibrare» le forze, naturalmente. Per premiare le scelte «moderate» di Assad, entro la fine di febbraio il Parlamento europeo sbloccherà il terzo protocollo Cee-Siria (quasi 250 miliardi di lire) che era stato sospeso quando Damasco veniva accusata di essere il mandante di vari gruppi terroristici. Il quarto protocollo sarà negoziato entro l'estate. E sarà un'altra pioggia di miliardi per Assad. Finora, tra omaggi sauditi, kuwaitiani ed europei, la Siria ha già messo in bilancio, complessivamente, quasi tre miliardi di dollari. Senza contare i «piccoli premi in natura», come le soffiate della Cia che le hanno consentito di liberarsi di una serie di spie infiltrate nell'esercito e nei quadri del regime. Nessuno sa cosa Assad sia riuscito ad ottenere dai sovietici. La settimana scorsa ha mandato a Mosca (su invito del Cremlino) il suo ministro della Difesa, Mustafa Tlass, che è anche vice primo ministro e vice¬ capo delle forze armate. Tlass ha avuto incontri particolarmente amichevoli con il ministro degli Esteri Bessmertnykh e con il ministro della Difesa Yazov. E' improbabile che sia tornato a mani vuote. Per il futuro, Assad punta le sue prospettive di guadagno in tre direzioni. La prima riguarda il consolidamento del protettorato libanese. Damasco si è sempre detta «entusiasta» dell'idea di una conferenza internazionale sul Medio Oriente. Ma precisando che non è disposta a «trattare simultaneamente tutti i problemi». Parliamo di tutto, dice in pratica Assad, ma non tocchiamo il Libano. La seconda prospettiva riguarda il Golan, occupato da Israele nel '67 e annesso nell'81. Assad conta sui buoni uffici americani per una serie di concessioni da parte di Tel Aviv. Nei giorni scorsi autorevoli fonti inglesi davano ormai per scontata la disponibilità di Shamir a restituire le alture strategiche in cambio di una loro totale smilitarizzazione. E' per procedere su questa strada di buoni rapporti che Damasco ha inviato nei giorni scorsi l'esercito libanese a zittire i katiuscia palestinesi nel Sud del Libano. La terza prospettiva è sicuramente quella che più sta a cuore ad Assad e riguarda il dopo- guerra. In queste ore al Cairo si stanno discutendo le prospettive di cooperazione e di sicurezza regionale dopo la sconfitta di Saddam. Ai colloqui partecipano i ministri degli Esteri di Siria, Egitto, Arabia Saudita, Kuwait, Emirati, Bahrein, Qatar ed Oman. Il progetto riguarda una forza militare interaraba, una sorta di Nato del Medio Oriente, che dovrebbe gestire la sicurezza nella zona strategica del petrolio. In questa forza militare la Siria dovrebbe avere, con l'Egitto, la parte del leone. In cambio, gli altri Paesi dovrebbero finanziare qualcosa di analogo al piano Marshall, garantendo una «redistribuzione» delle rendite petrolifere. E' un progetto economico colossale che fatalmente cambierà i rapporti di forza nella regione. Soprattutto se verrà fatta piazza pulita del regime iracheno. In sei mesi, insomma, al «cattivo» Assad sono stati rimessi tutti i peccati, e ora ha anche la prospettiva di ascendere, in tempi brevi, in Paradiso. Le uniche note stonate in questa vicenda, sono venute da Amnesty International e da un giornale filogovernativo egiziano. Amnesty ha pubblicato in novembre, proprio in coincidenza con il ventennale del golpe che ha portato al potere Assad, un rapporto sulle violazioni dei diritti umani in Siria e nel Libano occupato. Sembra una fotocopia del rapporto che la stessa Amnesty ha pubblicato sull'Iraq e sull'invasione del Kuwait. In un Occidente indignato dalla cattiveria di Saddam, quasi nessuno ha sprecato una parola sul rapporto di Amnesty. Così come quasi nessuno si è accorto dell'editoriale dell'egiziano «Al Ahram» nel quale si affermava che, sparito l'Iraq, nel mondo islamico mediorientale solo II Cairo e Damasco saranno in grado di produrre armi chimiche. Anche su Saddam Hussein molti avevano preferito chiudere gli occhi. Silvano Costanzo Carri armati e blindati americani del 7° Corpo d'armata in una base saudita. L'area della base è stata finora utilizzata per le esercitazioni degli uomini e dei mezzi