Harry's Bar, orfano di Hemingway di Enrico Benedetto

Harry's Bar, orfano di Hemingway Harry's Bar, orfano di Hemingway Paura di attentati egli americani disertano PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE A mezzanotte l'Harry's Bar si rianima, come sempre. Arrivano i tiratardi, gli amanti dei long drinks, e l'inevitabile nostalgico che vuole assaporare un po' d'atmosfera hemingwayana. Rintanato in una viuzza del II Arrondissement, fra boiseries e stemmi di college Usa, questo localino consola da generazioni gli americani a Parigi, stufi degli slalom linguistici tra vini e liquori «made in France» che offrono i bistrot. Anche stasera va in scena questo rito ma, come da qualche tempo, le presenze statunitensi latitano. Colpa del Golfo, naturalmente. Spiega Trevor, 42 anni, funzionario nella sede parigina d'una multinazionale Usa: «Dopo le minacce irachene, la nostra comunità è guardinga. Si esce meno di sera, complici i programmi tv sulla guerra. Stasera, però, non ho resistito a fare una puntatina». Uno dei barman nega la crisi, ed in effetti il locale sembra affollato, ma prevalentemente di curiosi. Trevor non lo dice, ma come i circa quaranta fra ristoranti, bruncherie, café tipici Usa nella capitale, l'Harry's Bar rappresenta un obbiettivo primario e relativamente facile per terroristi che vogliano «colpire gli interessi americani nel mondo», secondo gli auspici di Saddam Hussein. Lasciamo il 5 di rue Daunou per un altro classico americano, il ristorante «Western». Va meglio. Il locale, nel sottosuolo dell'Hilton Suffren, gode un'eccellente protezione e la clientela abbonda. Malgrado sia trascurato dalla Guida Michelin (come la «Gault Millau» neppure cita l'Harry's Bar), gli americani di passaggio lo ritengono un vero tempio gastronomico. Niente fantasie gershwiniane, puro ambiente saloon. «Qui mi sento tranquilla», esordisce Gladys Bearson, con le sue brava «barbecued spare ribs» davanti. «Volevo rinunciare a questa vacanza, come hanno fatto i nostri amici di Portland, ma poi siamo venuti lo stesso, utilizzando però una compagnia aerea europea (non si sa mai). Certo questa guerra ti perseguita! Ogni volta mio marito e io ci concediamo qualche lusso, tipo ostriche o champagne, arriva il pensiero dei nostri soldati che magari stanno morendo nel Golfo a guastarcelo. Non è giusto, perché risparmiavamo da anni: questo viaggio abbiamo fatto tutto per meritarcelo». Il suo disagio rappresenta quello di molti cittadini Usa nella capitale francese per turismo. Le agenzie specializzate in «Paris la nuit» mettono gli americani al primo posto nelle defezioni. Se le Folies Bergòres hanno chiuso tre settimane, causa Golfo, la colpa è in gran parte loro (con i giapponesi). Anche il Crazy Horse di Avenue George V se ne lagna. Ma questi sono divertimenti voluttuari per eccellenza, mentre l'Harry's Bar con la sua aria da club (tradizione vuole non si accettino le carte di credito) poteva sperare in una sorte migliore. «Qui, la sera dello spoglio Bush-Dukakis - raccontano due clienti - c'erano almeno trecento persone fuori, a premere per entrare. Dentro, seguivamo le proiezioni "Cnn". Anche ora l'America fa notizia, anzi ben di più, ma quello spirito sembra essere scomparso. La guerra è guerra, si cercano di nascondere le emozioni». Alle tre il locale risulta ormai praticamente vuoto. I dialoghi in franglese tra gli avventori languiscono, qualcuno esce a cercarsi una copia del «Figaro». Hemingway, forse, non abita più qui. Enrico Benedetto