Collezionisti di luci e di geni di Giulia Ajmone Marsan
Collezionisti di luci e di geni Londra, grandi appuntamenti alla National Gallery e alla Royal Academy Collezionisti di luci e di geni Con Picasso e Cézanne alla mostra dei mercanti 1~~fi LONDRA ■ INGHILTERRA, orgogliosa delle sue impori tanti collezioni private, LI ha accolto con entusiasmo quelle personalissime di Heinz Berggruen e Emil G. Bùhrle. Alla National Gallery «Van Gogh to Picasso» raccoglie opere post-impressioniste e moderne, provenienti dalla collezione Berggruen, che, al termine della mostra il 21 aprile, resteranno in prestito alla galleria per cinque anni. Heinz Berggruen, nato nel 1914 a Berlino ed educato in Germania, Francia e Stati Uniti, iniziò a fare il mercante di libri rari e stampe nel 1947: comprò Elles, l'album di litografie di Toulouse-Lautrec, che sei mesi dopo vendette al doppio del prezzo di acquisto. Da questo istante la sua carriera decollò, specializzandosi nelle stampe dei maestri della scuola parigina. Gradualmente Berggruen iniziò a collezionare disegni e tele: non gli interessava raccogliere «semplicemente un gruppo di quadri di grandi nomi - quello che i giornali di New York chiamano una collezione "Park Avenue" - ma deve essere qualcosa di eccezionale, molto particolare e vicina al mio gusto». Comprò oltre cento Klee, che donò più tardi al Metropolitan di New York e al Musée National d'Art Moderne di Parigi: «Non riesco a smettere di comprare dei Klee: è una mania». Collezionò anche gli artisti che «hanno mostrato la via alla pittura del XX secolo»: Cézanne, Seurat, van Gogh, Braque e Picasso. Quest'ultimo, secondo Berggruen, «è il più originale e creativo, così naturalmente nella mia collezione vi ho posto l'accento». Per l'appunto nelle tre sale della National dedicate al prestito Berggruen si stagliano contro pareti azzurro carta da zucchero una quarantina di Picasso. La prima sala espone principalmente i post-impressionisti: entrando si è abbagliati dalla luminosità di II Canale delle Gravelines, Grand Fort-Philippe (1890) di Seurat; alla semplicità lineare di questo paesaggio si contrappongono sulla parete opposta i toni fondo bosco delle lussureggianti pennellate di Giardino autunnale (1888) di van Gogh. La sala adiacente raccoglie principalmente disegni, tra cui otto splendidi studi a matita Comté di Seurat. In asse con il portale di accesso è stata collocata una grande scultura lignea della Costa d'Avorio, rappresentatne un uccello. Questo non è l'unico richiamo all'ispi¬ razione africana dell'arte moderna. La terza sala, infatti, interamente dedicata a Picasso eccetto per un Mirò, alterna sculture africane a opere di Picasso, quali il ritratto della sua amante Dora Maas (1938) e la Gru bronzea (1952). Ad un tempo simile e dissimile è la selezione di 85 quadri tratta dalla collezione Bùhrle in mostra alla Royal Academy fino al 14 aprile. Emil G. Bùhrle (1890 - 1956), nato a Pforzheim, amò fin da giovane la storia dell'arte e la pittura. Dopo la prima guerra mondiale si dovette dedicare agli affari e, stabilitosi a Zurigo nel 1924, costruì un grosso gruppo indu¬ striale a partire da una società per macchine utensili. Bùhrle comprava ad ondate secondo un criterio espresso con un'apposita metafora: «Quando si getta un sasso nell'acqua tranquilla un cerchio appare sulla superfice, che ne genera un secondo concentrico, poi un terzo e così via ...». Il sasso era stato l'impatto degli impressionisti francesi, visti per la prima volta alla Nationalgalerie di Berlino nel 1913: «Benché la pietra avesse urtato l'acqua nel 1913, il primo cerchio si definì solo nel 1934, quando acquistai il mio primo disegno di Dégas e una natura morta di Renoir: tale primo cerchio, che va da Corot a Cézanne e van Gogh, ... restò sempre il cuore della mia collezione». Progressivamente si spinse fino a Kokoschka, da un lato, e, dall'altro, a Franz Hals. La mostra è allestita in modo inconsueto. Inizia in ordine cronologico, ma a partire dall'elegantissimo ritratto di Monsieur Devillers (1811) di Ingres: l'infilata delle, prime due sale ha per sfondo La Sultane (1871) di Manet che, stanca, ma sensuale, risalta contro le pareti riccamente rivestite di stoffa blu. Il terzo, salone enorme e grigio perla, raccoglie i Gauguin, i Cézanne, i Renoir e i van Gogh: la potenza dei temi agresti di quest'ultimo - Il seminatore ( 1888), Albicocco in fiore (1888), Campo di grano con cipressi (1889), Oliveto (1889) e Rami di ippocastano in fiore (1890) - è tale che, quando si accede alla sala succesiva, si resta storditi dal contrasto. Qui, le prime opere che balzano agli occhi sono le vedute del Canal Grande e della Salute (1738-42) di Canaletto ai lati di Una processione a Valencia (1810-12) di Goya. La continuità più evidente tra questa sala, dedicata al '600, '700 e primo '800, e ultime due sono le pareti blu: dall'ingresso si scorge sulla parete di fondo la Ragazza Italiana (1917) di Picasso, dipinta a Roma e caratterizzata da una nuova opulenza classica. Qui si possono anche ammirare il vibrante Violinista (1911-12) di Braque, i perversi Due amici (1895) di Toulouse-Lautrec e la Giumenta con puledri arlecchino (1912) di Franz Marc. La mostra si chiude con il grande ritratto di Bùrhle nel suo ufficio (1951-52), eseguito da Kokoschka, che disse del suo cliente: «Con i suoi occhi marroni vedeva veramente, cosa che in generale i collezionisti non sono in grado di fare». Giulia Ajmone Marsan Vincent van Gogh: «Seminatore al tramonto», alia National Gallery di Londra. Alla Royal Academy si espone la collezione Biihrle (particolare)
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