Immigrati in chiesa per sfuggire al gelo di Alberto Gaino
Immigrati in chiesa per sfuggire al gelo Clamorosa decisione dei padri camilliani Immigrati in chiesa per sfuggire al gelo Tre letti per parte, ai due lati dell'altare maggiore: da venerdì sera vi trovano riparo e sonno sei giovani immigrati extracomunitari. La chiesa di San Giuseppe, al 22 di via Santa Teresa, è piccola e molto meno esposta al gelo dei grandi ambienti altrettanto poco riscaldati. Adattarla a dormitorio è stata una scelta dei Padri Camilliani che governano l'attigua casa d'accoglienza stracolma di letti per i senzatetto di Torino. Tutti stranieri, ormai. Per quattro quinti provenienti dai Paesi del Maghreb e per il restante dieci per cento (sono gli ultimi arrivati) da bulgari, albanesi, romeni e lituani. Sono 120 i posti-letto che i Camilliani mettono a disposizione ogni sera. Hanno riempito anche i divani nei corridoi. Non bastava più con l'avanzare del gelo. «Il momento più doloroso della giornata, il dover dire di no a chi si presenta per ultimo, si ripete sempre più spesso. Sei letti in più non risolvono che una piccola parte del problema. Con il nostro gesto abbiamo soprattutto cercato di scuotere l'indifferenza della città». Padre Adolfo ci guida per le stanze del convento verso la sacrestia ingombra di medicinali e di generi di prima necessità per gli ospiti stranieri. Sono le nove di ieri mattina: in chiesa i letti sono già vuoti e rifatti. Per la fotografia i ragazzi devono tornare sotto le coperte. Adolfo spiega a quelle facce giovani e spaventate che la loro immagine di ogni notte, rimbalzando sul giornale e in tv, assumerà il significato di una denuncia. Viene l'ora della messa, a metà mattina: la chiesa si affolla di un centinaio di fedeli. Padre Antonio pronuncia l'omelia davanti a quei letti vuoti: «Sapete che non è nel nostro stile fare rumore, ma non potevano restare in silenzio di fronte ad un dramma che coinvolge ormai migliaia di persone. Ci eravamo rivolti ai politici: il loro piano di emergenza, con le prime difficoltà, si è arenato. Abbiamo chiesto aiuto a privati cittadini e c'è stato chi ci ha offerto un appartamento in affitto, ad un milione al mese per due camere e cucina purché non vi ricoverassimo degli stranieri. Abbiamo interpellato anche le autorità religiose, sapendo che molti istituti di proprietà del clero sono vuoti del tutto o in gran parte. Anche in quel caso le risposte sono state disarmanti». Non servono i gesti simbolici, ripeterà più tardi padre Adolfo. Occorre la solidarietà concreta, ogni giorno. E padre Antonio, rivolto ancora ai fedeli: «Non possiamo continuare a predicare il Vangelo e dormire nelle nostre case riscaldate senza fare nulla per questi nostri fratelli che la notte scivolano nei palazzi diroccati e pericolanti per trovarvi un minimo di riparo o che finiscono avvolti negli stracci sotto i ponti della Dora. Per 30 mila lire a sera c'è anche chi affitta auto-dormitorio». Un letto in una pensioncina costa di meno, ma non c'è quasi più nessuno che voglia gli extracomunitari poveri, spiega padre Adolfo. «L'altra settimana - aggiunge - cercavo posto per un ra¬ gazzo sfrattato che ha il permesso di soggiorno e un regolare lavoro. Alla decima telefonata mi hanno risposto che, sì, il letto c'era, ma che accettare un arabo avrebbe potuto mettere a disagio gli altri ospiti». La guerra ha reso più problematica l'accoglienza. «Molti hanno paura, escono di casa lo stretto necessario. C'è anche chi ha perso il lavoro. Un cittadino marocchino è stato licenziato da un'ùnpresa di pulizie perché il titolare temeva che l'altro si mettesse a piazzare bombe negli uffici. Qualcuno è già ripartito. Altri parlano di andarsene». Chi rimane ripete, come il ventiquattrenne Ibrahim, che in Italia è venuto a cercare lavoro e dignità. «Con Saddam non c'entriamo, non voghamo la guerra». Resta il problema della dignità e quei sei letti in chiesa chiedono di non dimenticarlo. Alberto Gaino Letti per gli immigrati nella chiesa di via Mercanti 28
Persone citate: Padre Adolfo, Padre Antonio
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