Ljubimov: nuovo addio a Mosca?

Ljubimov: nuovo addio a Mosca? Ljubimov: nuovo addio a Mosca? 77 regista contrario «al terrore nel Baltico» PRAGA. «Non posso che ripetere con Gogol: fa il tuo lavoro come ce fosse un ordine di Dio». Jurij Ljubimov, esule forzato in Occidente, interpretava così il suo lavoro di regista, quando, dopo essere stato costretto nell'84 ad abbandonare la direzione artistica della Taganka di Mosca, il teatro che aveva fondato vent'anni prima, visse pellegrino nei teatri di mezzo mondo. Svezia, Gran Bretagna, Austria, Stati Uniti, Israele, una stagione a Bologna, poi il rientro in patria a settant'anni, all'inizio dell'89, sull'onda della glasnost e della perestrojka gorbacioviane. Ora, a due anni esatti dal ritorno, Jurij Ljubimov minaccia d'andarsene. E questa volta per scelta. «Se i soldati dell'Armata Rossa torneranno a seminare il terrore sul Baltico, uccidendo altra gente innocente, abbandonerò l'Unione Sovietica - ha dichiarato nel corso di un'intervista alla televisione cecoslovacca -. Il mio è un gesto di protesta che sarà seguito da molti altri artisti ed esponenti del mondo culturale sovietico». Quando, il 13 gennaio scorso, i paracadutisti e i carri armati sovietici hanno punito Vilnius con una domenica di sangue, occupando il palazzo della radiotelevisione e causando 14 morti e oltre 300 feriti tra i civili, Ljubimov e la compagnia della Taganka si trovavano in Cecoslovacchia per una tournée che ha portato sui palcoscenici di Praga «Jivoi», l'opera censurata vent'anni fa, la commedia che racconta la vita nei kolchoz e che i «burocrati non hanno mai sopportato». Ljubimov, della burocrazia e della stagnazione, ha sempre incarnato l'esatto contrario. Nessuno si stupì, nel 1982, quando i ministri di Breznev censurarono il suo «Boris Godunov», né quando avvenne la rottura definitiva col regime, seguita dalla privazione della cittadinanza sovietica all'epoca di Cernenko. Ciò che non era gradito dell'opera di Puskin, rappresentata innumerevoli volte nei teatri sovietici, era proprio il carattere allusivo della messa in scena di Ljubimov, della versione in abiti moderni dei torbidi avvenuti ai tempi della successione di Ivan il Terribile. Perché «Boris Godunov» invitava a riflettere. Su quel problema eterno che è il potere. Ljubimov artisticamente era maturato con il disgelo degli anni di Krusciov. Nel 1964 ave¬ va trasformato in una leggenda una sala scomoda e decrepita di Mosca, in piazza Taganskaj, che divenne subito un punto di riferimento per gli studenti e gli intellettuali che «volevano pensare». Andavano alla Taganka non solo per lo spettacolo, ma anche per esprimere i loro umori, le emozioni segrete. Poi frequentare la Taganka divenne una sorta di status symbol, un privilegio anche per gli stessi burocrati contro i quali parlava la scena (alla Taganka, diretta da Nikolai Gubienko, Ljubimov era esule negli Usa, per «La casa sul fiume» andarono anche Gorbaciov e la moglie Raissa). Sette delle sue quaranta produzioni furono bloccate dai vari ministri della Cultura. Ma nonostante tutto il suo fu sempre un teatro «politico» che mai rinunciò a denunciare, con la metafora, le angosce della società sovietica contemporanea: i campi di lavoro forzati, la repressione culturale e religiosa, l'ottusità della nomenklatura, ma anche il nichilismo morale, le allucinazioni, gli incubi e gli orrori degli uomini adel sottosuolo». Durò fino all'83. Ljubimov era a Londra per allestire «Delitto e castigo» di Dostoevskij. Il «Time» pubblicò un'intervista in cui il regista criticava con durezza la politica culturale sovietica. Un funzionario dell'ambasciata lo raggiunse in albergo e gli disse: «Hai commesso un grave crimine. La punizione seguirà». Infatti gli tolsero la direzione della Taganka, lo privarono della casa e della cittadinanza sovietica. Nell'89 Gorbaciov favorì il suo rientro. «Senza il suo aiuto - dichiarò Ljubimov non mi sarebbe mai stato possibile tornare». Ora è lui che potrebbe abbandonare Gorbaciov. La lezione di «Boris Godunov» è più che mai attuale. Il potere di Boris è nato dal sangue. I rimorsi per l'assassinio dello zarevic Dimitrij lo perseguitano. La Lituania è in rivolta, contro l'usurpatore. Il popolo oppresso marcia su Mosca, guidato da un avventuriero, un falso Dimitrij, acclamato come figlio dello zar. Il popolo chiede la testa di Boris. Già arrivano gli uomini del falso Dimitrij, ma dalla piazza si leva una voce: «Ora chi arriva, qui, sulla nostra terra? Queste sono voci di lupi che ululano, demoni tutti neri». Il dramma si compie. Non resta nulla, se non «l'eternità di quel problema che è il potere». Paola Campana Il regista sovietico Ljubimov