Islam, una lunga amnesia di Stefania Miretti

Islam, una lunga amnesia Volumi e studi: la guerra fa riscoprire il mondo arabo Islam, una lunga amnesia L'Occidente credeva di essere solo 01 consideriamo Le mille e una notte come il classico dei classici. Gli arabi non lo leggono neppure nelle Università, celebrando invece Mutanabbi, poeta del decimo secolo al servizio nelle corti tra la Siria, l'Egitto e Baghdad, come loro massimo autore. Noi, Mutanabbi non lo conosciamo neanche di nome. Quando, due anni fa, venne assegnato il Nobel per la letteratura a Naghib Mahfuz, ci fu molta sorpresa nelle redazioni dei giornali. Del quasi ottantenne e molto prolifico scrittore egiziano, mai fino ad allora tradotto in Italia, si sapeva poco; e si era perciò propensi a pensare che a Stoccolma fosse stata fatta una scelta più terzomondista che letteraria. E la pubblicazione, da Einaudi, dello scrittore magrebino Tahar Ben Jelloun, è apparsa quasi un'isolata stravaganza, una finestra aperta su un mondo lontano. Sappiamo così poco, del mondo arabo e più in generale dell'islamismo, ma non è solo una questione letteraria. Il Medio Oriente in prima pagina per mesi, non è servito a dissipare la confusione, storica, religiosa, anche geografica. Ci sono volute, nei primi giorni di Guerra del Golfo, cartine e cartine pubblicate dai giornali, perché tutti avessero finalmente chiari i confini dell'Iraq. Lontani e vaghi ricordi di scuola ci avvertivano che proprio laggiù, tra il Tigri e l'Eufrate, si sviluppò la prima grande civiltà della nostra storia. E scattava tuttalpiù qualche dubbio allarmato, ci si chiedeva cosa sarebbe rimasto della favolosa Baghdad, ma pensando più che altro ai giardini di Ali Babà, che non esistono più da un millennio. Il filo-arabismo diffuso in Italia, quasi un esotismo ideologico, e comunque più politico che letterario, più volonteroso che informato, non ha saputo trasformarsi in vera cultura. E se la guerra comincia ad arrivare in libreria, «ciò che ci chiedono», dice il libraio torinese Piero Femore, «sono soprattut¬ to guide di geografia politica, oppure il Corano». A conferma del fatto che il concetto di guerra religiosa, ancorché misterioso, arriva, affascina. Eppure «l'incontro tra culture, con le culture tradizionali, è forse l'avvenimento più importante di questa fine di secolo», ricorda Khaled Fouad Allam, docente di Islamistica e Storia e istituzioni del mondo arabo all'Università di Trieste, e direttore per la Marietti di una nuova collana arabo-islamica con intenti divulgativi e filologici. «C'è stata, in Europa, una sorta di amnesia totale sull'apporto ricevuto dalla cultura islamica, dalla stessa lingua araba. Una chiusura che è la conseguenza di una serie di pregiudizi: basti pensare che nel secolo dei Lumi Maometto era ancora considerato un falso profeta», com¬ menta Fouad Allam. «Prima dell'avventura coloniale, l'orientalistica in Italia era considerata una stravaganza, lo studio dell'arabo poteva equivalere a quello di una lingua morta come l'assiro-babilonese», ricorda Sergio Noja, docente di Lingua e letteratura araba all'Università Cattolica di Milano, e autore di numerosi testi tra cui una Storia dei popoli dell'Islam: «Ci voleva l'arrivo dei "vu cumprà" per risvegliare l'interesse nei confronti del mondo arabo: ci siamo trovati queste facce per strada e non sapevamo chi fossero, da lì è partita l'esigenza di un po' di pubblicistica». Ora si tratta, al di là degli istant-book in preparazione sulla guerra e su Saddam Hussein, di riempire un vuoto: è necessario farlo, è urgente farlo. «Credevamo in una razionalità unica, ma eravamo gli unici a crederci, credevamo ad un senso unico della storia, ma ecco che la storia appare come mosaico multiforme», annota Fouad Allam nel presentare la collana da lui diretta. E' possibile che proprio la guerra finisca per rimettere in circolazione libri, favorisca nuovi studi, oppure ci troveremo piuttosto di fronte ad un rafforzamento dei pregiudizi, ad un rifiuto che si rifletterà anche sull'atteggiamento culturale? Don Antonio Balletto, presidente della Marietti, dice che la presentazione della «Biblioteca araba e islamica», in programma a Montecitorio e poi rinviata a causa della guerra nel Golfo, si farà, si farà: «A marzo probabilmente, ma dipende dagli eventi. Abbiamo dovuto rinviare per ragioni di opportunità pratica, per esempio la mancanza di un servizio d'ordine adeguato, e poi perché, purtroppo, non tutti capiscono subito. Ma i problemi non si possono rimandare in eterno, meno che mai quello posto oggi dal mondo arabo-musulmano. E' arrivato il momento di dialogare, e credo che assisteremo piuttosto ad un fiorire di ricerche e pubblicazioni». Anche Sergio Noja si dimostra ottimista: «Può darsi che ci si debba aspettare qualche reazione negativa, una sorta di demonizzazione, ma intanto le informazioni circolano, e la società civile si prepara inevitabilmente a dover convivere con altri Stati, e con i loro immigrati. Non dobbiamo dimenticare che per i ragazzi che hanno oggi vent'anni, la questione araba è qualcosa di cui si sente parlare da sempre». Ed è tanto convinto di un prossimo risveglio d'interesse, che sta curando per la Marsilio il primo volume di una nuova collana, «Sabbie», di classici arabi di letteratura islamica e preislamica. In programma anche la pubblicazione delle «Mu'Allagat», la più famosa raccolta di poesie arabe. Stefania Miretti