«Robin Hood» torna, ma non chiede scusa

«Robin Hood» torna, ma non chiede scusa Sergio Gaiotti spiega perché, dopo lo strappo di novembre, è rientrato nella democrazia cristiana «Robin Hood» torna, ma non chiede scusa «Non mi sento unfigliuolprodigo» «Robin Hood» torna nella de, ma non chiede scusa a nessuno. Sergio Gaiotti, outsider de, uscito dal partito dopo aver perso la battaglia per il posto di capogruppo in Comune (affidato a Porcellana), è tornato nello «scudo crociato». L'han chiamato il «Robin Hood» della politica di Torino e, in novembre, il suo è stato «un caso» che la democrazia cristiana avrebbe volentieri evitato. Se ne andò menando fendenti a tutti. E ora? Te ne sei andato sbattendo la porta, chi t'ha fatto tornare? Molti amici: Bruno, Fimiani, Pizzetti, i giovani. E' difficile, di colpo, dimenticare gli anni spesi a lottare per un ideale. E poi le mie dimissioni sono sempre state respinte. Hai chiesto scusa a qualcuno? Ai funzionari della segreteria. Non avevo fatto loro gli auguri di fine anno. A nessun altro. Neppure a Giovanni Porcellana? No. E' una personalità con tanti pregi, ma un difetto: si considera sempre il migliore, anche quando sbaglia. Adesso parla di un partito delle tangenti. Faccia i nomi. In via Carlo Alberto, come ti hanno accolto? Alcuni con sufficienza, i più con entusiasmo. E come ti sei sentito, come il <<Figliuol prodigo»? Non me n'ero andato per dilapidare nulla, tantomeno il mio patrimonio ideale. Quando hai lasciato la «Balena bianca» hai firmato accuse molto gravi. Le confermi? Le cose sono attinenti agli ideali e agli orientamenti politici della de, ma si riferivano chiaramente al comportamento di esponenti del partito che, sovente, hanno dimenticato n> biltà e correttezza nei. rapporti con le persone. Cosa rinfacci al tuo partito? L'insufficienza di proposta politica, mancanza di incisività soprattutto per la città che fatica di più. Ma mi pare che il nuovo segretario, Francesco Bruno, abbia cambiato rotta. Non hai ancora detto a nes- Sergio Gaiotti, consigliere, torna nella de, dopo uno «strappo» suno perché sei tornato nella de? Per lavorare ad un disegno politico più vicino alle esigenze della gente. Ma perché non hai bussato in via Stampatori dove c'è il ministro Donat-Cattin col quale hai combattuto tante battaglie? Donat-Cattin è ancora uno dei più grandi leader del Paese. Tuttavia la sua corrente ha dimostrato di non svolgere più sufficientemente quei compiti di sollecitazione politica e sociale che, da sempre, è stata la molla delle mie battaglie. E fra tante «anime», ha scelto quella degli andreottiani. Per quale ragione? Andreotti è una personalità politica di prestigio mondiale. Bonsignore mi ha sempre incuriosito per la sua intelligenza e concrer tezza politico-operativa. In questo contesto non dimentico la mia antica vicinanza con il Movimento Popolare di Leo e Battuello, la lealtà di Galasso, i supporti tecnici datimi da Bresa, l'ormai nota personale amicizia, Ma non ti è mai venuto il dubbio che ti accusino d'essertene andato semplicemente perché non t'han fatto capogruppo? Sono convinto che qualcuno l'ha pensato. Se è così, non mi conosce. L'ho fatto soltanto per aiutare la politica a rinnovarsi. E naturalmente non sei tornato con qualche promessa in tasca? Me ne sono state fatte. Ma confermo che agisco sempre avendo presente soltanto il bene della gente e non certo le mie personali fortune ed è per questo che non mi sono mai sottratto dall'assumere posizioni Difficili di responsabilità che nessuno voleva. Come quando ho fatto l'assessore al lavoro, alla formazione, allo sgombero neve. Come hai vissuto la tua fuga? A volte mi sono sentito solo. Ma ero convinto d'essere nel giusto. Mi hanno aiutato la famiglia, la fede, gli amici e moltissima gente. Gian Mario Ricciardi non sempre corrisposta, con Prowisiero. Allora pensi che la spaccatura con la tua de possa essere superata? Sì. Le battaglie, a volte, provocano fratture. Quello che conta è non perdere mai di vista il comune patrimonio di libertà e di ideali.

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