Una quercia nata fra i fulmini di Filippo Ceccarelli

Una quercia nata fra i fulmini Una quercia nata fra i fulmini La breve e travagliata storia del nuovo simbolo RUMINI DAL NOSTRO INVIATO E così alle ore 12,50, lassù in cabina di regia, sulla vetta della fiera di Rimini, si preme finalmente il tasto numero 5 del mixer video. Con un complicatissimo e misterioso procedimento elettrochimico (c'entra anche un olio speciale di composizione segreta) la quercia finisce nella macchina Mlv della General Electric e di lì viene sparata sul maxi schermo del congresso. Arriva, per la verità, al termine di un video di storia d'Italia che prende le mosse da certe stampe sull'albero della libertà. L'hanno realizzato - e l'effetto è piuttosto efficace - i due registi Alberto Lardari e Alfredo Angeli con la colonna sonora di «Novecento» (Ennio Morricone). Si proietta la quercia mentre i congressisti sfollano. E per qualche ora il nuovo simbolo, presentato nell'ottobre e approvato a gennaio dai congressi di sezione, rimane lì sullo schermo, ancora provvisorio dal punto di vista delle procedure. La consacrazione solenne avviene in sala, alle 19. Di lì a qualche minuto - per la cronaca e gli appassionati di vessillologia e scienze araldiche - la bandiera con l'albero viene issata sul pennone della fiera di Rimini e, in contemporanea, su quello delle Botteghe Oscure. Si apre dunque la stagione della quercia. Subito minacciata simbolicamente da quella «motosega» che un anonimo scissionista ha evocato nel primo pomeriggio con un buon successo di pubblico. La quercia disegnata dal grafico del Bottegone Bruno Magno, scelta da Walter Veltroni, approvata da Occhetto e sottoposta ad una laboriosa operazione di restyling da parte di alcuni pubblicitari coordinati dalla viceresponsabile della Propaganda Raffaella Fioretta, autrice di un manuale di istruzioni per l'uso. «Non si tratterà solo - secondo Occhetto - di cambiare delle targhe sulle porte delle sezioni». Che sono 12 mila, più 116 federazioni. Senza contare le bandiere, la carta da lettere, insomma una spesuccia di qualche miliardo. Il vero problema è la popolarità del simbolo. Che è recente, sì, ma in tre mesi può già vantare una sua piccola, anche bizzarra storia. Sono stati crudeli fin dall'inizio gli avversari della quercia. Un «disegnino» a detta di Forlani. «Che assomiglia troppo al garofano» (Cossutta). Peggio, «a un cavolo, un broccoletto» (il poeta-senatore futuro scissionista Paolo Volponi). Fino al dileggio socialista: «Mi sembrano i capelli di Occhetto riprodotti sopra un tronco d'albero» come dice la deputata Laura Fincato. Commenti a caldo. Seguiti dalla comparsa di personaggi che - è proprio il caso di dirlo - «s'inal¬ berano» per motivi di concorrenza. Il segretario del partito dei pensionati Giuseppe Polini, per esempio, che nel simbolo ha una specie di quercia e diffida Occhetto dall'utilizzarla. Oppure Cesare Rossi, leader della lista «Verdi dell'albero» di Piacenza: «Con questo emblema protesta - ci siamo fatti un mazzo così presentandoci a tutte le elezioni, e adesso arrivano questi...». La quercia occhettiana è simpatica (più del nome): lo dimostrano le rilevazioni massmediologiche commissionate dal pei al professor Giorgio Grossi, sociologo della comunicazione. Eppure, anche senza adire a vie legali, è lunga la lista di quelli che ricordano precedenti imbarazzanti o rivendicano primogeniture e paradossali copyright di originalità. Si scopre così che un albero molto simile stava sulla tessera dell'Unione Fascista Famiglie Numerose (anno 1938). 0 che, in tempi più recenti, la quercia era già apparsa sulla copertina del periodico cossuttiano Orizzonti, e l'ex direttore Italo Avellino non manca di ricordarlo sul giornalr del de Vincenzo Scotti. Poi s :mpre all'insegna del «sono arrivato prima io» - salta su monsignor Attilio Nicora: la quercia è già da tempo sui bollettini di conto corrente postale che permettono ai fedeli di detrarre dalle tasse le offerte per la Chiesa. Ma non è ancora finita perché al monsignore e all'ex cossuttiano si aggiunge la ditta che produce le scarpe Timberland («La vera quercia viene da lontano» strilla la pubblicità sui giornali). Poi è la volta della de di Udine, che ha stampato tessere con l'albero. Asserragliati all'ultimo piano delle Botteghe Oscure, Veltroni e i suoi tengono botta. Resistono anche alle insidie della citazione dotta che studiosi di Gramsci (nemici del pds) fanno circolare in quei giorni nel palazzo e sui giornali: «Ogni ghianda può pensare di diventare quercia - è l'apologo -. Ma nella realtà il 999 per mille delle ghiande servono di pasto ai maiali e, al più, contribuiscono a creare salsicciotti e mortadella». La controffensiva parte dalle colonne di Cuore per la penna di Michele Serra: «Quercia, bella quercia/ perlomeno non sei lercia/ come i fiori da casino/ col profumo di Moschino» (cioè i garofani craxiani e l'aroma dello stilista). Il congresso s'avvicina. L'ultimo assalto è una pericolosa piantagione di alberi che avviene ai margini del convegno dei verdi a Castrocaro. Rispondono, con analoga piantagione, otto sindacalisti occhettiani a Vercelli, riuniti «nel comitato per la quercia». Tre mesi di passione. A Rimini, finalmente, la sinistra botanica è una realtà. Filippo Ceccarelli Dopo la replica di Occhetto, la dirigenza dell'ex pei riceve l'ovazione dei delegati

Luoghi citati: Italia, Piacenza, Rimini, Udine, Vercelli