Golfo, la spina nel fianco di Kaifu

Golfo, la spina nel fianco di Kaifu 4tf TOKYO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE La guerra come videogame, svagata curiosità come per un nuovo, grande gioco elettronico. E subito, si capisce, anche, libro a fumetti: strisce in cui i protagonisti sembrano soprattutto i supercomputer, tra piloti che maneggiano pulsanti elettronici, marines superarmati di ordigni con «fuzzy-logic», iracheni dai capelli ritti appena sono senza elmetto, spaventati o determinati a tener duro. Mica un fumettaccio qualsiasi. Autori e casa editrice asseriscono di aver costruito la storia come simulazione, con consulenze di studiosi di politica. E cosi va a finire che l'Iraq attacca Gerusalemme e altre città israeliane con missili dalle testate chimiche, provocando centoventimila morti. In tv, come ovunque, alle notizie sulla guerra e alle avare immagini si affiancano interminabili «talk-show» sul conflitto. Ma appena cominciano, molti brandiscono subito il telecomando per passare a varietà e quiz. Il Medio Oriente Una realtà remota L'ambiente politico è invece lacerato. E proprio perché i giapponesi non trepidano per quel che accade nel Golfo, la crisi lontana rischia di diventare una delle maggiori crisi nazionali. Il governo si è impegnato in aiuti finanziari agli americani per nove miliardi di dollari, ma rischia su questo la propria sopravvivenza. Si tratta sostanzialmente di aiuti per la guerra, e la maggioranza della popolazione è contro di essa. L'opposizione si richiama alla Costituzione pacifista; lo stesso partito di governo è diviso. Ancor più rischioso il progetto di mandare cinque aerei militari in Giordania per l'evacuazione dei profughi, in risposta ad appelli dell'Onu. Sarebbe la prima volta che le forze di autodifesa andrebbero a operare fuori dei confini nazionali, sia pure in missione umanitaria. E questo suscita allarme e grida di pericolosa apertura al ritorno del militarismo, malgrado Paesi come Singapore, che quel militarismo lo sentirono, auspichino la presenza nel Golfo di reparti nipponici in funzione non combattente. In autunno il governo dovette ritirare un progetto in questo senso, ma non trovò forti obiezioni su un contributo di quattro miliardi. Ora solo metà della popolazione è a favore degli aiuti, ma, chissà come, li vorrebbe utilizzati solo a scopi estranei al conflitto. Per i giapponesi si sta sparando in Paesi lontani, di cui sanno poco o nulla, e men che meno delle loro complessità. Un conto è conoscere ogni angolo del mondo in modo funzionale a strategie di marketing per penetrarne il mercato. Altro è interessarsi di quello stes¬ II governo di Tokyo rischia la crisi per gli aiuti finanziari concessi agli Usa Golfo, la spina nel fianco di Kaifu Si invoca la Costituzione pacifista Ma i giapponesi restano indifferenti so angolo in modo diverso da quello puramente commerciale. Per un popolo che si vanta omogeneo e si sente ben definito culturalmente nel suo arcipelago, è impresa vana cercare non tanto di capire ma sapere in modo un po' meno superficiale di Paesi con più etnie, religioni, sette, minoranze. Non stupirà che il fumetto dia per scontato l'assalto iracheno a Gerusalemme, città anche di luoghi santi islamici. I più interessati, appena scoppiata la guerra, hanno dato l'assalto alle mappe della regione per avere un'idea del teatro di operazioni. Il maggior editore cartografico asserisce di aver esaurito le scorte. Si capisce allora come il conflitto non sia l'argomento principale delle conversazioni nei caffè e ristoranti, per non dire nelle case. I giapponesi non conoscono bene quelli che si fronteggiano, tra loro non c'è nessuno con cui possano identificarsi. Le precedenti crisi nella regione li avevano bruscamente toccati con gli choc petroliferi, ma ora non è così. Da esse, Tokyo ha tratto la lezione in modo più rigoroso e conseguente di ogni altra nazione, con una seria politica energetica di risparmio e di fonti alternative. Il Giappone dipende ancor oggi per il petrolio dal Medio Oriente per il 70 per cento. Ma la dipendenza dal petrolio è scesa al 55 per cento. Pur essendo l'unico ad aver patito la bomba atomica, si è concentrato sull'energia nucleare, che oggi fornisce il dieci per cento del fabbisogno totale, o il 25 per cento di quello industriale, con 35 centrali operanti, altre 12 in costruzione. Nella siderurgia il petrolio contava nel 1973 per il 25,8 per cento; è stato ridotto all'8,2 per cento. L'abbandono di settori ad alto consumo energetico e lo sviluppo di quelli ad alto valore aggiunto e dei servizi hanno fatto il resto. A parità di consumo di energia col 1973, il prodotto nazionale lordo è raddoppiato. Gli aumenti del greggio dall'inizio della crisi sono stati in parte compensati dal rialzo dello yen sul dollaro. Imponenti scorte statali assicurano il fabbisogno per 142 giorni in caso di totale blocco delle forniture. Si spiega così l'indifferenza con cui viene seguita la crisi. Il 15 gennaio, mentre il mondo allo scadere dell'ultimatum dell'Onu all'Iraq tratteneva il fiato in attesa dell'attacco americano, in Giappone si è celebrata senza angosce la festa della maggiore età: ragazze a spasso coi kimoni più preziosi, dai delicati e spenti colori invernali, giovinotti in allegre brigate, ristoranti strapieni. Nessun assalto a supermercati o negozi come era avvenuto altrove. Non è che nessuno temesse la guerra. E' che non interessava a nessuno. Adesso che è in corso, il Giappone si sente toccato da essa solo per quanto riguarda il suo rapporto con gli Stati Uniti. Per Tokyo, malgrado la posta in ballo nel Medio Oriente, il conflitto si riduce all'unicità delle relazioni con Washington. Si pensa solo se ciò che si fa o no sarà giudicato corretto dagli Stati Uniti. Non anelito o pulsione politica più o meno profonda a partecipare a quel che accade: ma preoccupazione di ciò che penseranno gli americani. La paura del giudizio degli americani L'impressione è che i nove miliardi di dollari di contributi siano soprattutto per evitare che, a guerra finita, il Giappone diventi capro espiatorio di un'America sempre più livida nel dissanguarsi mentre i suoi clienti e alleati si lavano le mani. Un mediocre Forattini locale, in agosto, aveva visto giusto rappresentando il premier Kaifu in spiaggia sotto l'ombrellone, con accanto una bellona. Guardando da lontano un marine affaticato nel deserto, lui domandava sgomento: «Che cosa debbo fare?». E lei: «Stacca un assegno». La grande industria è pronta a questo, accettando nuove imposte sui profitti per finanziare gli imponenti aiuti. Ma per un Paese aspirante a un ruolo politico pari alla sua forza economica, il problema è che non basta staccare assegni'. Specie se è per chiamarsi fuori. Fernando Mezzetti Convoglio militare in Arabia Gli alleati concentrano uomini e mezzi alla frontiera

Persone citate: Fernando Mezzetti, Forattini, Kaifu, Tokyo